Michelino - Trollio: Operai carne da macello
4. Comincia la battaglia per ottenere giustizia
Dopo anni di ricerca, eravamo ormai pronti a dare battaglia.
Eravamo ben consci che le difficoltà tecniche di dimostrare la responsabilità penale in caso di tumori da amianto erano enormi. Il lunghissimo periodo di latenza (20/30/ 40 anni) gioca a favore dei padroni e dei dirigenti che hanno un margine ampissimo per mettere in dubbio il rapporto causa-effetto.
I rappresentanti della “scienza” medica, finanziati nelle loro ricerche dalle multinazionali, gli esperti pagati profumatamente dai padroni, sono maestri nel mentire, nel trovare ogni scappatoia pur di salvare i loro finanziatori. Lo sperimenteremo molte volte sulla nostra pelle.
Questi scienziati “al di sopra delle parti” cercheranno di dimostrare che le “concause” (il fumo di sigarette, la cattiva alimentazione, l’essere entrati in contatto con altre sostanze cancerogene fuori dall’ambito lavorativo) sono più rilevanti della causa scatenante, l’uso dell’amianto. Mentiranno allegramente sostenendo che “all’epoca non erano noti i rischi, perché solo recentemente si sono scoperti i pericoli”.
Lo squallido argomento dell’ignoranza, usato in sede processuale, è un copione che si ripete, da quasi un secolo!
Nel 1906, a Torino, la proprietà di un’impresa che lavorava amianto a Nole Canavese, la British Asbestos Company, denunciò per diffamazione il direttore e il gerente di un foglio locale, il “Progresso del Canavese”.
L’azienda si riteneva danneggiata perché in una corrispondenza del giornale locale del piccolo Comune di campagna, alla fine di uno sciopero degli operai che protestavano contro un aggravamento delle condizioni di lavoro, il giornale scriveva, «… che l’industria dell’amianto fa annualmente un numero incredibile di vittime e che dalle tavole necrologiche di quel comune appare che con triste frequenza operai e operaie dell’amianto muoiono per tisi, anemia o gastro-enteriti».
Il giudice, dopo l’acquisizione di autorevoli pareri scientifici, concluse che non vi era alcuna diffamazione nella descrizione dei fatti resa dal giornale canavese, mandando quindi assolti i giornalisti.
Solo pochi anni fa alcuni dirigenti della Bender e Martiny di Ciriè, in provincia di Torino, che avevano sostenuto in un processo di non essere a conoscenza degli effetti dell’amianto fino ad epoca recente, furono sbugiardati direttamente dal Pubblico Ministero.
Il Sostituto Procuratore Aggiunto del Tribunale di Torino, Raffaele Guariniello, presentò in aula una sentenza del 1906 (del Regio Tribunale) a carico dei dirigenti dell’epoca della Bender e Marty, che illustrava dettagliatamente l’estrema pericolosità di questo minerale.
Ma si sa… con i soldi si trova sempre chi è disposto a travisare la realtà.
Nel mese di giugno del 1996, Giambattista Tagarelli, sostenuto dal Comitato ed assistito dagli avvocati Sandro Clementi ed Elena Radeglia, presenta alla Procura della Repubblica di Milano una denuncia-querela per lesioni personali gravissime colpose contro la Breda, azienda del Gruppo Efim che nel frattempo era stata posta in liquidazione coatta.
Qualche giorno dopo nella sede del Pds (Partito dei Democratici di Sinistra, ex PCI, oggi Ds) di Sesto San Giovanni, ad un Convegno sulla salute in fabbrica e sulla riforma delle pensioni, al quale presenzia Antonio Pizzinato, allora sottosegretario al lavoro del governo Prodi, ex segretario della Cgil e, in passato sindacalista che seguiva la Breda, intervengono nel dibattito anche alcuni membri del nostro Comitato. Tagarelli, dopo aver preso la parola per denunciare il ruolo di complicità con i padroni di alcuni sindacalisti che barattano la salute con il ricatto della perdita dei posti di lavoro, critica la proposta del governo di centro sinistra che vuole aumentare l’età pensionabile. Nel suo intervento rivendica invece il diritto, per chi ha svolto lavori usuranti e pericolosi, di andare in pensione prima di morire, portando il suo caso come esempio. Il senatore Pizzinato, nella sua replica, afferma che i casi individuali vanno visti a parte e che – nel contesto - sono secondari rispetto al fatto che l’età media degli operai in Italia è aumentata, e che quindi il governo ha la necessità di aumentare l’età pensionabile.
La dichiarazione offende gli operai della Breda malati di tumore presenti - e Tagarelli in particolare - che protestano manifestando pubblicamente tutta la loro rabbia e la loro indignazione.
Il 3 luglio del 1996, come lavoratori e delegati RSU della Nuova Breda Fucine organizziamo una assemblea cittadina all’interno di Cascina Novella Occupata, con la partecipazione di lavoratori della fabbrica colpiti dal male che per la prima volta escono allo scoperto, familiari dei lavoratori morti e alcuni avvocati.
Nel volantino di convocazione affisso in tutte le fabbriche e in città, dal titolo “TUMORI E MORTE SOSPETTE: COSA SUCCEDE ALLA BREDA?”, denunciavamo come negli ultimi anni fra gli operai del reparto “aste” della Breda Fucine si fossero verificati dieci morti per tumore e come altri lavoratori avessero dovuto subire drammatici interventi chirurgici.
Per l’occasione invitammo formalmente tutte le autorità cittadine, sindaco, consiglieri comunali, partiti e sindacati: nessuno di loro si degnò di intervenire.
In compenso ci fu una grande partecipazione popolare. All’assemblea si presentò anche Silvestro Capelli, un operaio che lavorava a fianco dei lavoratori delle Aste deceduti, che disse di essere appena uscito dall’ospedale dopo aver subito una operazione alla gola per l’asportazione di un tumore. Da Reggio Emilia arrivò Luigina Zanovello, vedova di Lino Cattan, operaio della Breda Elettromeccanica morto di mesotelioma pleurico (il tipico tumore da amianto, l’unico riconosciuto come tale dall’INAIL), che nel suo intervento raccontò:”Dopo la morte di mio marito avvenuta sei anni fa, mi sono costituita parte civile e da quel momento è iniziato il mio calvario. Alla Breda non mi rispondevano, trovavano mille scuse. Quando finalmente qualcuno mi ha risposto, mi sono sentita dire che bisognava interpellare l’Ansaldo che aveva assorbito la Breda dove lavorava mio marito. Così sono andata a Genova alla sede dell’Ansaldo, ma anche qui mi risposero che non potevano farci niente, perché allora non erano loro a gestire gli impianti. Alcuni avvocati della Camera del Lavoro di Reggio, da me convocati, cercavano di convincermi a mollare, perché ormai mio marito era morto da cinque anni e non si era risolto nulla. Quando ho deciso di sentire altri avvocati che mi hanno invogliato alla lotta, i legali della Camera del Lavoro di Reggio mi hanno abbandonata. In tutti questi anni ho cercato di mettermi in contatto con ex colleghi di lavoro di mio marito trovando solo omertà”.
La sua testimonianza riassumeva perfettamente i problemi a cui andavamo incontro.
Nel denunciare le morte sospette alla Breda, ribadivamo la necessità di organizzarsi nei posti di lavoro per combattere contro chi costringeva gli operai a lavorare in ambienti di lavoro malsani, saturi di gas, di polveri d’amianto e altre sostanze cancerogene che a lungo andare avrebbero causato malattie non solo ai lavoratori, ma anche agli abitanti della città. Affermavamo la necessità di far pressione sulle autorità competenti chiedendo di sottoporre i lavoratori a visite mediche periodiche, e soprattutto di aprire un’inchiesta sulla base delle cartelle cliniche dei lavoratori defunti.
La nostra lotta, soprattutto dopo la denuncia di questi fatti alla magistratura, ci rese oggetto di minacce. In quel periodo telefonate notturne facevano squillare a vuoto i telefoni di casa dei membri più conosciuti del comitato. Alcuni avvocati che avevano dato una disponibilità generica a patrocinarci nel caso avessimo intrapreso delle cause, si tirarono indietro accampando varie scuse. Probabilmente non se la sentivano di scontrarsi con la Breda e il gruppo Efim, aziende di Stato, che disponevano di mezzi economici giganteschi rispetto ai nostri.
Intanto anche noi cominciavamo ad imparare ad usare la stampa ed i mass-media.
In un’intervista ad un periodico di Sesto “Città Nostra”, al giornalista che gli chiede perché sorride nonostante la sua malattia, Tagarelli risponde” È il mio modo di reagire, voglio vivere. Sono sereno, ho accanto la mia Antonia che mi da coraggio assieme ai figli Clina e Domenico, ora frequentano le scuole superiori, loro sanno tutto. Deve sapere che proprio questo mio sorriso dà fastidio ai dirigenti della Breda, mi hanno affrontato così: tu stai male? Allora stai zitto e quieto!
Si, sono proprio arrabbiato nei confronti dell’azienda che non solo non ha mai preso provvedimenti per migliorare l’ambiente di lavoro, ma tratta gli operai come numeri; per loro, i padroni, la vita umana non vale un tubo”. Alla domanda perché avesse deciso di uscire allo scoperto proprioadesso che la Breda è in liquidazione, Giambattista risponde:”Mi hanno chiamato ai piani alti per dirmi: stai tranquillo, abbi pazienza un mese, si mette in vendita l’azienda e tu rientri a lavorare”.
Il giornalista insiste, vuol capire perché non segue il loro consiglio. ”Ho dato tutto alla Breda, è vero mi hanno dato la casa ma io ci sto rimettendo la pelle. Come lavoratore mi sento psicologicamente distrutto, quando non servi più ti accantonano o ti licenziano; questa umiliazione è più grave della malattia… Sono contento che i compagni di lavoro cassintegrati mi affianchino, puntiamo a difendere gli interessi dei colleghi delle “aste” di cui sono a conoscenza, alle loro mogli verranno risarciti i danni, andremo fino in fondo, sono donne che non hanno niente da perdere, i mariti li hanno già persi”.
Il 7 novembre dello stesso anno organizziamo un’altra assemblea.
Intanto le morti di cui il Comitato è venuto a conoscenza sono salite a 12, mentre si contano decine di malati. Durante l’affollata riunione si presentano altri familiari di operai deceduti e due lavoratori ammalati di tumore, fra cui un ex delegato sindacale.
Le loro testimonianze raggelano ulteriormente i presenti.
Ormai nessuno crede più alle coincidenze. Se la mortalità in quel reparto è decine di volte superiore alla media nazionale, questo è ben più di un sospetto, è una prova.
Durante l’assemblea viene duramente contestata la magistratura di Monza che rimane sorda a due esposti, presentati uno dalla Usl e l’altro dal nostro Comitato.
L’assemblea decide alcune azioni di protesta da effettuare davanti al tribunale con un volantino che denuncia la mancanza di volontà politica della magistratura nel far luce sulle morti “sospette” degli operai.
Le iniziative di lotta cominciano a rompere il muro di silenzio che finora anche la stampa ha rispettato. Le notizie, amplificate dai giornali locali, hanno l’effetto di creare fiducia e consenso intorno alla nostra lotta. Operai ammalati e familiari di lavoratori deceduti, finalmente informati della determinazione con cui ci battiamo per ottenere giustizia per i nostri morti, cominciano a venirci a cercare e per la prima volta non siamo noi a dovere andare dalle famiglie, ma sono loro che vengono da noi.
Entro dicembre del 1996, anche la figlia di Italo Cenci e le vedove di Danilo Lazzari, Guido Rivolta e Lino Cattan presentano alla Procura della Repubblica di Milano, tramite i nostri avvocati, atti di denuncia-querela per omicidio colposo contro i dirigenti Breda, mentre Giuseppe Gobbo presenta una denuncia-querela per lesioni colpose gravissime.
Il 30 gennaio del 1997 inCascina Novella Occupata si fa il punto della situazione organizzando un’altra assemblea su ”Nocività, tumori e morti in fabbrica”. Si denuncia che non solo alla Breda, ma anche alla Marelli e all’Ansaldo ci sono stati casi di tumore tra i lavoratori che usavano l’amianto e il cromo e viene data la notizia che nei giorni precedenti il Comitato per la Difesa della Salute nei Luoghi di Lavoro e nel Territorio ha depositato negli uffici della Procura della Repubblica di Milano una denuncia per strage. L’assemblea vede molte testimonianze dei parenti delle vittime, tra cui l’intervento della figlia di un operaio deceduto che dice: ”Quando è morto mio padre avevo 13 anni e non capivo perché ero giovane. Ora comincio a spiegarmi le ragioni, a trovare una motivazione alla solitudine che ho vissuto: mio padre ha avuto la colpa di essere operaio. Ha venduto la vita per il lavoro”.
Questa volta la nostra assemblea non passa inosservata, le telecamere della RAI riprendono parte della riunione, e la nostra voce viene amplificata dal Gabibbo e da Striscia la Notizia di lunedì 3 febbraio. Il folcloristico Gabibbo ci dà finalmente la possibilità di rendere nota e far conoscere la nostra protesta a livello nazionale.
Entro luglio, anche i familiari di altri lavoratori morti di tumore presentano denunce-querele per omicidio colposo alla Procura della Repubblica di Milano. Fra loro ci sono la figlia di Aldo Pettenon, la vedova ed i figli di Giovanni Crippa, la figlia di Attilio Barichello, il figlio e la vedova di Biagio Megna, la vedova e la figlia di Giancarlo Mangione. Giuseppe Mastrandrea e Silvestro Capelli, ex operai ormai in pensione che stanno combattendo contro il male, presentano denunce-querele per lesioni continuate gravissime.