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Michelino - Trollio: Operai carne da macello

1. La condizione di vita e di lavoro in fabbrica

 

La Breda Fucine di Sesto San Giovanni negli anni ‘80 era una fabbrica parastatale del  gruppo Efim (che aveva in tutta Italia 37.000 dipendenti), di proprietà del Ministero del Tesoro.

A Sesto San Giovanni gli stabilimenti del Gruppo Breda erano ubicati su una vasta area a cavallo fra Sesto e Milano, e una strada interna all’area delimitava il confine – oltre che delle due città - tra gli stabilimenti. Negli anni ‘60 ci lavoravano quasi 20.000 lavoratori che, per effetto delle varie ristrutturazioni del decennio 1970/1980,  diminuirono a meno della metà.

La Breda Fucine contava 1.265 dipendenti, cui andavano aggiunti alcune centinaia di lavoratori delle imprese e dell’indotto.

Come  tutte le industrie metalmeccaniche e siderurgiche dove si svolgevano lavorazioni a caldo, utilizzava con grande abbondanza l’amianto, considerato  allora il più economico ed il migliore  termodispersore al mondo.

La pericolosità per la salute dei lavoratori era comunque già conosciuta, da industriali, medici, legislatori, fin dal 1935.

Questo minerale era utilizzato nelle lavorazioni dell’acciaio sotto forma di coperte, cuscini, e usato come dispositivo di protezione individuale e collettivo dagli operai, nei guanti, parastinchi, grembiuli, paratie e divisori per ripararsi dalle schegge di acciaio incandescente. Nelle lavorazioni a caldo l’amianto serviva per mantenere costante la temperatura dell’acciaio che - prima di essere messo nei forni e portato alla temperatura di1000/1200 gradi, lavorato e saldato - doveva essere preriscaldato con  fiamme libere (grossi cannelli con fiamma a metano) poste sotto i bancali dei  pezzi. Per evitare dispersioni di calore e il pericolo di rotture dell’acciaio, i pezzi venivano ricoperti o “protetti” con l’amianto, messi  in grosse buche con pareti e tetti d’amianto per impedire che un brusco raffreddamento  potesse causare rotture dei manufatti.

Con la privatizzazione dell’azienda, avvenuta nel dicembre 1989, la Breda Fucine fu divisa e smembrata in tre unità distinte e, di conseguenza, anche i lavoratori vennero dislocati nelle tre nuove fabbriche: la Nuova Breda Fucine, la Breda Energia e la Breda Techint Macchine. La divisione in tre fabbriche corrispondeva grosso modo alle  lavorazioni che si effettuavano nei tre più grandi  reparti in cui era divisa la fabbrica originaria.

Per tutto un periodo, gli spazi che dividevano gli operai - spogliatoi, mensa,  portinerie – continuarono  ad essere comuni, e l’infermeria - con relativa ambulanza privata situata nel “vialone Breda”, all’altezza  del n. 336 di viale Sarca 336 (Mi) - era in comune anche con l’Ansaldo.

Ma un “atto amministrativo” come la privatizzazione e lo spezzettamento di una fabbrica con grandi tradizioni di lotta come la Breda Fucine (siamo nel cuore della “Stalingrado d’Italia”) non era sufficiente a spezzare la combattività operaia.

Il primo atto dei nuovi proprietari delle tre distinte società fu identico in ogni azienda: la disdetta di tutti i precedenti accordi sindacali.

Per marcare chiaramente il cambiamento e dividere ulteriormente i lavoratori, in una delle tre fabbriche (alla Nuova Breda Fucine) il padrone impone un immediato aumento dei ritmi di lavoro. Alla  Breda Energia, approfittando della fabbrica vuota per ferie, viene  innalzato un muro per dividere anche fisicamente le tre  società, lasciando solo una porticina per il passaggio degli operai da una fabbrica all’altra.

Questo  provocò una dura reazione da parte dei lavoratori e i tre Consigli di Fabbrica, dal momento che persistevano servizi comuni, chiesero alla Breda Energia di aprire un varco per permettere il libero passaggio delle autoambulanze verso l’infermeria in caso di infortuni.

Il 29 agosto 1990, dopo un’infuocata assemblea dei lavoratori delle tre fabbriche, alcune centinaia di operai, per protesta, si diressero verso il muro abbattendone una parte ed aprendo un varco. Il coordinamento dei tre Consigli di Fabbrica, rivendicò l’azione con un comunicato congiunto, assumendosene in pieno la responsabilità:

 

 

 

PRIMA DI TUTTO LA SALUTE E LA SICUREZZA DEI LAVORATORI

 

Approfittando dell’assenza dei lavoratori per ferie, è stato costruito un muro divisorio tra Nuova Breda Fucine e Breda Energia.

Davanti alle contestazioni del Consiglio di Fabbrica Nuova Breda Fucine per il fatto che non è stato neppure previsto il passaggio dell’ambulanza in caso di infortuni, la direzione di N. B. Fucine rispondeva che qualora si fosse verificata questa eventualità, ciò avrebbe comportato un ritardo di soli 4 o 5 minuti, “dimenticando” che per alcuni infortuni non improbabili in un reparto come la forgia può bastare 1 minuto per mettere a repentaglio la vita di un lavoratore.

È stata successivamente investita del problema la direzione di Breda Energia la quale ha indicato una via di  soluzione, il passaggio dell’ambulanza nel reparto verniciatura, che, se si può considerare meno provocatoria della precedente appare altrettanto poco ponderata.

A fronte dell’insensibilità dimostrata, i C.d.F. di Breda Energia, Nuova Breda Fucine, Breda Techint Macchine, ritenendo che la sicurezza dei lavoratori va anteposta a qualsiasi altra esigenza, hanno deciso di aprire un varco nel muro per consentire che gli eventuali soccorsi avvengano più celermente, assumendosi in prima persona la responsabilità di tale decisione.

 

 

Lo stesso giorno la Breda Energia inviava ai 23 delegati della ex Breda Fucine, ora divisi nelle tre nuove fabbriche la seguente lettera:

 

“DIFFIDA

 

In data odierna Ella operando insieme con altri si è arbitrariamente introdotto nell’area della nostra società ivi partecipando ad un’illecita operazione di smontaggio, danneggiamento e rimozione di manufatti di nostra proprietà ivi posizionati per specifiche nostre esigenze organizzative.

Nell’informarla che sono in corso iniziative presso le autorità competenti per gli opportuni provvedimenti in sede anche penale, la diffidiamo dal mettere in atto iniziative comunque in contrasto con i nostri diritti, riservandoci comunque la richiesta di risarcimento del danno”.

 

Alla diffida segue la denuncia e, al termine delle indagini preliminari, il Pubblico Ministero Fabio Roia  della Procura della Repubblica di Milano, rinvia a giudizio i 23 delegati con le seguenti, singolari, imputazioni:

a) del reato p. e p. dagli artt. 110-392 e 112 c. p. perché in concorso tra loro, al fine di esercitare il preteso diritto alla salute e dell’integrità fisica dei lavoratori, potendo ricorrere al giudice, si facevano arbitrariamente ragione da sé aprendo un varco nel muro divisorio di proprietà della Breda Energia SPA in Milano il 29/08/1990;

b) del reato p. p. dagli artt. 110-81 cpv. – 610 e 112 c. p. perché fino al 3/09/1990, in concorso tra loro e in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, presidiavano l’ingresso dello stabilimento della Breda Energia SPA Portineria Sud, impedivano al sig. Lo Vecchio Antonio, conducente di un camion dell’azienda carico di valvolame, di uscire dallo stabilimento, così costringendolo a non effettuare il programmato trasporto delle merci, e perché, nei giorni successivi, con ulteriori presidi delle portinerie, costringevano la Breda Energia SPA a bloccare le merci in Milano sino al 9/10/1990.

c) del reato p. e p dagli artt.110-659 e 112 c.p. perché in concorso tra loro, azionando la sirena posizionata all’interno della direzione aziendale fino a farla raggiungere un grado di rumorosità pari a 100-120 decibel, disturbavano le occupazioni delle persone che si trovavano all’interno dei locali predetti. In Milano, il 31/8/1990.

Per tutti i reati sopradescritti, con l’aggravante di cui all’art.112 n. 1 c.p. per aver commesso il fatto in più di 5 persone.

 

Con la repressione si cerca di spezzare la resistenza operaia e  la lotta contro la ristrutturazione aziendale. Al processo alcuni delegati del Consiglio di fabbrica sceglieranno il patteggiamento della pena, mentre la maggioranza verrà assolta grazie alla testimonianza di uno dei lavoratori della portineria di nome Giambattista Tagarelli, citato dall’azienda come suo teste e che  testimonia invece a favore degli operai.

L’attacco padronale prepara le condizioni che serviranno per rendere più malleabile e collaborativo il sindacato. La cassa integrazione straordinaria - anticamera del licenziamento - che nel giro di poco tempo espellerà dalla fabbrica più di 800 lavoratori (su 1.265),  viene concordata e firmata dopo un accordo raggiunto fra padroni e sindacati, e viene spacciata come una vittoria che salvaguarda i quasi 500 posti di lavoro rimasti.

 

Il 9 gennaio  1992 parte la prima ondata di cassa integrazione che colpisce 65 operai della Nuova Breda Fucine. Fra gli operai espulsi c’erano, oltre a quelli più combattivi, anche tutti gli operai che pochi mesi prima avevano denunciato con una lettera all’Unità Sanitaria Locale il pericolo derivante dall’aumento della nocività in fabbrica.

Michele, nonostante fosse stato fra i primi ad essere messo in cassa integrazione, poiché era membro del Consiglio di Fabbrica, eletto delegato dagli operai della Forgia - uno dei reparti con le condizioni di lavoro peggiori - e iscritto alla Fiom-Cgil, tutti i giorni insieme agli altri cassintegrati che, di volta in volta, si presentavano ai cancelli, entrava in fabbrica per andare nella sala della Rappresentanza Sindacale Unitaria (organismo che, nel frattempo, aveva sostituito il Consiglio di fabbrica). Anche se l’azienda tentava di impedirglielo, riusciva sempre ad entrare, seguito dalle guardie aziendali, pronte a bloccarlo se provava  ad entrare nei reparti. La sua presenza in fabbrica, anche se limitata alla sala della RSU, diventò sempre più sgradita alla direzione aziendale e a un certo punto non fu più tollerata.

L’azienda cercò con vari pretesti di allontanarlo, infliggendogli continui provvedimenti disciplinari.

Il 30 novembre 1992 prendendo a pretesto la lotta di un gruppo di lavoratori, l’azienda gli contestò che “stante il Suo stato di lavoratore sospeso dal lavoro e collocato in CIG straordinaria, alle ore 7.00 Ella è entrato nello stabilimento e raggiunta la palazzina uffici Direzione, ripetutamente, fino alle ore 16.00 ca. inscenava manifestazioni con l’uso di un apparecchio megafono indirizzando ai Funzionari aziendali e all’azienda stessa espressioni quali le seguenti: ”farabutti” - “azienda fuorilegge”. Ella manteneva questo comportamento nonostante che da parte del responsabile del Servizio del Personale veniva invitato a desistere, procurando, nel corso dell’intera giornata, un grave impedimento alla normale attività lavorativa”, infliggendogli  ”la sanzione disciplinare di 3 giorni di sospensione.

Pochi giorni dopo, altra contestazione: ”Ci risulta che il giorno 01/12/1992… alle ore 12.45 ca. si è presentato alla portineria della società Breda Energia, manifestando la Sua necessità a raggiungere il locale della Rappresentanza Sindacale. Sulla base di quanto da Ella richiesto, il personale in servizio Le ha consentito l’ingresso raccomandandole di non accedere in altro luogo che il locale citato. Di contro, Ella, con espressione arrogante ha risposto che comunque avrebbe raggiunto il locale mensa manifestando già in quella circostanza la precisa intenzione di disattendere alla disposizione aziendale ricevuta”.

Provvedimento disciplinare, pari a 3 ore di multa.

Il 22 dicembre 1992,ancora:”Ella proponendo le sue giustificazioni in altra procedura disciplinare, ha accusato la nostra Società di tenere comportamenti “fuorilegge”, “antisindacali” e di consentire “l’agibilità sindacale” solo ai “delegati consenzienti”, finendo con l’aggiungere che: responsabili di esse sarebbero “farabutti”, e denunciando l’esistenza di un “clima di ricatto e di minacce”: altri 3 giorni di sospensione.

E ancora; ”Ci risulta che il giorno 29. 01. 1993, alle ore 11.20 Ella si è presentato alla nostra portineria manifestando la sua necessità di raggiungere il locale della Rappresentanza Sindacale. Sulla base di tale richiesta Le è stato consentito l’ingresso. Successivamente, alle ore 12 ca. disattendendo alla disposizione ricevuta, Ella ha raggiunto il locale mensa aziendale dove si è trattenuto fino alle ore 12.50 ca.

Analogo comportamento Ella ha tenuto il giorno 10. 02.1993 alle ore 9.30, disattendendo anche in quella circostanza alla disposizione ricevuta dal personale di servizio di vigilanza della società Breda Energia cui si è rivolto per accedere al locale R.S.U. Le contestiamo quanto sopra…”.

 

Il 23/12/1992, il Pretore di Milano dott. Meroni, chiamato a decidere su una causa promossa da 18 lavoratori, dichiara “l’illegittimità” della cassa integrazione straordinaria condannando la Nuova Breda Fucine. Tuttavia l’ambiguità della sentenza, che non impone con chiarezza il  rientro dei lavoratori messi in cassa integrazione, consentirà all’azienda di interpretarla a suo piacimento,  tenendoli fuori dalla fabbrica pur pagando loro  il salario intero per 18 mesi.

Questa sentenza che recepiva solo in parte le tesi dei lavoratori (l’appello chiesto dall’azienda ribalterà il giudizio, ma poi la  Cassazione, ad anni di distanza e con la fabbrica chiusa  darà definitivamente ragione agli operai)  diede loro ulteriore fiato nella lotta.

Gli operai espulsi dalla fabbrica si organizzarono nel “Comitato di Lotta” che comprendeva sia i cassintegrati che gli operai ancora in produzione. Forti della sentenza per mesi si  presentano ogni giorno davanti alla fabbrica rivendicando il posto di lavoro e trovando sempre la DIGOS e la polizia schierate a difesa dell’azienda per impedirlo.

Una delle prime forme di lotta adottate fu il picchetto contro gli straordinari al sabato e alla domenica: ritenevamo immorale e ingiusto che pochi lavorassero tanto e molti fossero sbattuti fuori.

Come effetto secondario di queste lotte, conquistammo anche il diritto di recarci in mensa, riuscendo in tal modo a ricostruire il rapporto con gli operai ancora in fabbrica, rapporto messo in crisi dalla paura della cassa integrazione, coi lavoratori divisi a volte da una sorta di “guerra fra poveri” fra quelli fuori e quelli dentro.

 

 

operai carne da macello


Picchetto operaio sul viale Breda

 

 

“Fu così che conobbi Tagarelli”, ricorda Michele

 

Un giorno, mentre ero in mensa seduto al tavolo con un gruppo di operai, mi si avvicinò l’ex capoturno al “macchinone” del reparto Aste leggere, Giambattista Tagarelli che, dopo la chiusura del reparto avvenuta nel 1988, era stato spostato in portineria.

Tagarelli, che già conoscevo per via di alcune proteste fatte dagli operai del suo reparto sulle condizioni di lavoro e per aver testimoniato a favore dei delegati del Consiglio di fabbrica nel processo, visibilmente commosso mi disse che era appena morto di tumore Franco Camporeale, operaio di 45 anni, suo compagno di turno al reparto Aste leggere e che lasciava la moglie e due figli piccoli.

Franco nel tempo libero - per arrotondare lo stipendio e mantenere un po’ più decorosamente la famiglia - faceva il parrucchiere a casa dei compagni di lavoro ed era conosciuto e amico di molti operai, fra cui Tagarelli con cui lavorava.

Da tempo Franco accusava dolori vari e spesso era stato male e ricoverato nell’infermeria della fabbrica, ma tutte le volte i medici dopo una visita sommaria gli diagnosticavano un po’ di gastrite e una punta di ulcera e lo rimandavano in reparto a lavorare.

Poco prima di morire, un giorno che stava peggio del solito, era andato in infermeria ed il  medico di turno l’aveva mandato a casa alle 10 del mattino. Implacabile, la Breda gli aveva mandato il medico di controllo a mezzogiorno!

Tagarelli, molto turbato, mi disse che negli ultimi anni altri operai del suo reparto erano morti per tumore. Continuò: “Eravamo in quattro a lavorare  a quella saldatrice: Io, Giovanni Crippa, Biagio Megna  e Franco Camporeale”; poi aggiunse “sono rimasto vivo solo io”. Mi disse ancora: “Lo ricordo bene il Crippa, era di Bergamo, arrivava mezz’ora prima di noi; con un bastone di 25 metri apriva un pezzo di tetto per far sì che almeno un poco di fumo potesse uscire. Ci davano mezzo litro di latte al giorno, come d’altronde a voi del reparto Forgia, questa era la modernissima prevenzione  che ci veniva fornita”.

Gli chiesi se avesse avvisato il suo delegato o il sindacato di quei fatti e lui mi rispose: “Il sindacato? Certo che sapeva, erano in fabbrica, vedevano, erano operai come noi. O quasi”.  Da quel giorno i nostri incontri divennero sempre più frequenti.

Cominciavamo a sospettare che ci fosse un nesso fra queste morti ed alcune sostanze usate nel processo lavorativo: insieme ad altri compagni di lavoro scrivemmo in un volantino, firmato  “I compagni di lavoro della Breda Energia”.

Questo volantino, attaccato alle macchinette del caffè, fatto passare “clandestinamente“ di mano in mano, intitolato MORTE DI UN OPERAIO PER “CAUSE NATURALI” metteva in relazione queste morti con le sostanze nocive usate, prima fra tutte l’amianto.

Nel volantino, oltre agli operai ricordati da Tagarelli, denunciavamo che nello stesso reparto, nella stessa lavorazione, anche Danilo Lazzari, Italo Cenci, Gambirasio, Mauri, Oliviero Fabbris e  Ferri erano stati stroncati dallo stesso male.

La reazione non si fece attendere.

La direzione aziendale fece diffondere la voce che eravamo pagati dalla concorrenza per far “affondare” la fabbrica. Il sindacato ci diede apertamente dei “provocatori” perché la nostra denuncia non provata rischiava di far chiudere la fabbrica, già in crisi.

Così, per aver denunciato i rischi ed i pericoli che correvano i lavoratori, ci trasformarono in provocatori e potenziali “terroristi”.

In Breda Fucine era tradizione che, con il compimento dei 20 anni di anzianità aziendale, ogni lavoratore avesse diritto al “cavallino d’oro” (simbolo della Breda) e ad un premio di fedeltà in denaro pari a 750 ore. Franco Camporeale morì due mesi prima di raggiungere l’anzianità stabilita. La sua vedova prese contatto con direzione Breda per accelerare i tempi della liquidazione spettante al marito e la direzione, che subito dopo la morte di Franco si era dichiarata disponibile a venirle incontro prospettando di darle una parte delle 750 ore anche se non le aveva maturate, dopo la diffusione del volantino si rimangiò la parola.

La disumanità dei padroni provocò l’indignazione di molti operai: decidemmo di non far passare questo fatto sotto silenzio, aprendo una sottoscrizione sia fra gli operai in fabbrica che fra quelli in cassa integrazione che  facemmo avere alla famiglia.

Mandammo una copia del volantino in cui denunciavamo le morti sospette alla Unità Socio Sanitaria Locale (la USSL) n° 65 di Sesto San Giovanni.

Il 25 gennaio 1994, il  Medico Competente e Ufficiale di Polizia Giudiziaria della Ussl n. 65, la dott.ssa Laura Bodini, inviava una lettera indirizzata alle direzioni della Nuova Breda Fucine e  della Breda Energia (società derivate dallo scorporo e dalla privatizzazione della Breda Fucine SpA), ai rispettivi Consigli di Fabbrica, al medico competente delle due società e alla Procura della Repubblica di Monza. La lettera aveva per oggetto la “Segnalazioni di morti per tumore” e dava “… DISPOSIZIONE affinché i soggetti menzionati fornissero le cartelle sanitarie degli operai menzionati nel volantino, la ricostruzione anamnestica del lavoro di questi lavoratori, la descrizione del ciclo lavorativo, l’elenco completo dei lavoratori dei reparti interessati per gli ultimi 10 anni.

Le direzioni aziendali faranno di tutto per non collaborare, eludendo nei fatti tutte le richieste.

 

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