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> Capitolo 6. [M. Michelino:1970-1983 - La lotta di classe nelle
grandi fabbriche di Sesto San Giovanni]
IL LICENZIAMENTO DI 61 OPERAI ALLA
FIAT
L’acuirsi della crisi genera forti contrasti sociali, il
profitto va salvaguardato a qualunque costo.
Si scatena la campagna contro
l’assenteista, il violento, il terrorista in fabbrica.
61 lavoratori
vengono licenziati alla Fiat di Torino, altri all’Alfa di Arese e alla Magneti
Marelli a Milano.
Alcuni di loro, arrestati con l’accusa di appartenenza alle
Brigate Rosse, si dichiarano prigionieri politici.
Questo fatto viene
usato come un alibi dallo stato per colpire tutti i lavoratori che si battono
coerentemente contro lo sfruttamento. Ciò crea uno sbandamento in alcuni gruppi
operai, ma anche la necessità per i proletari coscienti di porre all’ordine del
giorno il problema dell’organizzazione di classe.
Alcuni mesi dopo, la
sentenza dei giudici di Torino reciterà chiaramente il motivo della loro
espulsione dalla FIAT: ”.... gli operai
licenziati contribuivano ad aumentare il clima di conflittualità in fabbrica con
gravi conseguenze sui livelli di produttività in un settore decisivo
dell’economia”.
La risposta ai 61 licenziamenti
La
FIAT, dopo aver avvertito in anticipo PCI e sindacati della sua intenzione di
licenziare circa 80 lavoratori, concordò in un incontro segreto la lista dei
licenziati, ridimensionandola in base alle osservazioni dei sindacati e del PCI.
Così la lista, depurata e concordata, stabiliva in 61 i dipendenti da licenziare
con il pretesto di connivenza con il terrorismo.
Giuliano Ferrara (a quel
tempo dirigente del PCI di Torino) ha confermato il sospetto di un’intesa che
già circolava all’epoca in un’intervista rilasciata durante la trasmissione
televisiva “Porta a porta”, e riportata dal Corriere della Sera del 14 ottobre
2000.
Nella stessa trasmissione Cesare Romiti, l’allora amministratore
delegato della Fiat, confermò che: “la Fiat avvertì in anticipo i vertici
sindacali dell’intenzione di licenziare”.
Ma veniamo ai fatti:
il
9 ottobre 1979 a 61 lavoratori
della Fiat Mirafiori, Rivalta e della Lancia di Chivasso vengono spedite lettere
di licenziamento.
Appena si sparge la notizia in alcuni reparti di Rivalta la
risposta degli operai è immediata.
Gli scioperi scoppiano, alcuni spontanei,
altri organizzati dagli stessi operai licenziati, tra i lavoratori c’è molta
rabbia ma anche molto disorientamento.
La FLM (Federazione Lavoratori
Metalmeccanici, il sindacato unitario CGIL-CISL-UIL) dichiara tre ore di
sciopero per mercoledì 1° novembre
, ma la mattina, prima dello sciopero, diffonde un volantino contro
il terrorismo.
Durante le assemblee il dibattito viene incentrato dai
sindacati sulla violenza in fabbrica, i sindacalisti sostengono che la Fiat
avrebbe “prove” contro i licenziati.
Nonostante la campagna forcaiola,
l’assemblea del 1° turno di Rivalta con oltre 2000 operai decide all’unanimità
di continuare lo sciopero oltre le tre ore sindacali e con la presenza dei
licenziati in fabbrica la lotta continua con cortei e “spazzolate”
interne.
Immediatamente la FLM ed i suoi delegati sabotano la lotta, cercando
di isolare i 61 lavoratori licenziati. Solo in pochi altri reparti la lotta
prosegue sino a fine turno.
Alla Lancia di Chivasso succede la stessa
cosa, nella giornata di mercoledì lo sciopero prosegue sino a fine turno, ma i
cortei interni e gli scioperi organizzati insieme ai licenziati continueranno
anche nei giorni seguenti.
Questi episodi di risposta operaia però, dopo la
fiammata iniziale, non ebbero seguito. Non si riuscì a dare continuità ed
organizzazione alla lotta.
Il ruolo di “pompiere” del sindacato fu reso
evidente dal fatto che, oltre le tre ore di sciopero di mercoledì 10, venne
indetto un solo sciopero di due ore al Palasport martedì 23 ottobre.
A
quel punto scende in campo anche Lama, che dichiara che il sindacato aspetterà
di conoscere le prove di Agnelli, perché “il sindacato difenderà solo gli operai
accusati ingiustamente”.
Questa posizione viene fatta propria dalla FLM e dal
PCI e il licenziamento dei 61 apre la strada ai licenziamenti di
massa.
I 35 giorni di lotta alla
Fiat
Un anno dopo, il 10
settembre 1980, a Roma avviene la rottura delle trattative tra FLM e
FIAT sulla cassa integrazione.
L’11
settembre 1980 la Fiat annuncia 14.469 licenziamenti. Subito gli
operai del 1° turno di Mirafiori proclamano 8 ore di sciopero. La lotta si
estende e si trasforma nei giorni successivi in lotta ad oltranza. Lo scontro si
acutizza, si fanno picchetti permanenti davanti a tutte le portinerie ed il PCI
soffia sulla protesta operaia, usando questa lotta per i suoi scopi
elettorali.
Intanto, il 27
settembre, il governo Cossiga è costretto a dimettersi e la Fiat
sospende i licenziamenti per “..spirito di responsabilità”. A questo punto i
sindacati ritirano lo sciopero generale proclamato per lunedì 29 settembre e la
Fiat annuncia per il 2 ottobre la cassa integrazione per 23.000 lavoratori.
Il 30 settembre l’assemblea dei
delegati decide di proseguire la lotta e si continua con il blocco totale dei
cancelli.
Ma come la storia del movimento operaio insegna, una forma di
lotta ad oltranza, confinata in fabbrica, alla lunga è perdente se rimane solo
nell’ambito sindacale. Infatti con il passare dei giorni le difficoltà degli
scioperanti aumentavano mentre diminuivano gli operai attivi ai picchetti. Per
far fronte alla stanchezza e alla rassegnazione il sindacato ed il PCI
chiamarono, di rinforzo alla lotta, delegati da tutte le città.
Per 35
giorni, pullman di delegati partivano tutte le mattine dalle città del nord, in
particolare dalla zona di Sesto San Giovanni, Milano e Genova con destinazione
Torino.
Le ronde ed i picchetti degli scioperanti, guardati a vista dalla
polizia, si scontravano spesso con gruppi di crumiri organizzati da capi e
leccapiedi della direzione che cercavano di sfondare i picchetti rivendicando il
“loro diritto al lavoro”.
Intanto la fermata della produzione alla Fiat dà un
duro colpo ad Agnelli, colpendolo nel suo più intimo sentimento: il profitto (o
il portafoglio, come dicevano scherzosamente i lavoratori ai picchetti dei
cancelli Fiat).
La situazione stava diventando non più tollerabile, ormai
anche il PCI e il sindacato stavano cercando un pretesto per chiudere lo
sciopero. La direzione Fiat decise di scendere direttamente in campo
organizzando capi, impiegati, bottegai. Tutta la Confindustria, padroni e
padroncini dell’indotto Fiat, e molti lavoratori diventati crumiri o resi
crumiri dalla paura della perdita del posto di lavoro, si
mobilitarono.
Il risultato del lavoro svolto dalla Fiat fu una imponente
manifestazione per le vie di Torino. La mattina del 14 ottobre 1980 il
coordinamento dei capi e dei quadri intermedi convocava una manifestazione al
teatro Nuovo contro il blocco dei cancelli. Migliaia di persone intervengono,
15.000 secondo i telegiornali, 30.000 titolerà La Stampa, mentre Repubblica
spara la cifra di 40.000. La manifestazione, infine, passerà alla storia come la
“marcia dei 40mila”.
Questa manifestazione fornì l’alibi a sindacato e
PCI per capitolare definitivamente.
Il 15
ottobre, mentre Fiat e sindacati firmano a Roma l’accordo che prevede
la cassa integrazione per 23.000 lavoratori e la conseguente riapertura della
fabbrica, al Cinema Smeraldo di Torino centinaia di delegati e lavoratori Fiat
premono per entrare: sul palco Benvenuto (UIL), Lama e Galli (CGIL)- che hanno
già preso la decisione di soffocare la lotta - cercano in tutti i modi di far
accettare ai delegati operai l’accordo che prevede la loro resa. Nonostante si
sforzino di indorare la pillola, sostenendo che “… la Fiat provvederà a
richiamare dalla cassa integrazione guadagni, per il loro reinserimento, quei
lavoratori che al 30 giugno 1983 si troveranno ancora in integrazione
salariale”, dopo 8 ore di discussione il Consiglio dei delegati Fiat ed i
lavoratori presenti approvano a maggioranza una mozione in cui respingono
l’accordo. Vista l’aria che tira i massimi dirigenti sindacali presenti, in
barba a tutte le chiacchiere sulla democrazia, abbandonano la sala prima del
voto.
Il giorno dopo, il 16 ottobre
1980, l’accordo messo in votazione dalle assemblee di fabbrica fu
respinto - contro ogni previsione - dalla maggioranza degli operai.
Quel
giorno, il 16 ottobre, fu una data storica sotto molti aspetti. Per la prima
volta i massimi dirigenti sindacali – Lama, Carniti, Benvenuto e altri
sindacalisti - vengono malmenati dagli operai e costretti a scappare scortati
dalla polizia. I giornali riporteranno la notizia che coloro che hanno respinto
gli accordi tra Fiat e sindacato non erano operai, ma provocatori esterni
infiltrati nell’assemblea di fabbrica.
Questo episodio ebbe una grande
importanza nella presa di coscienza di una parte della classe operaia italiana,
come dimostrano i documenti che riportiamo.
Dopo 35 giorni di sciopero ad
oltranza, la capitolazione del sindacato segnerà la sconfitta della classe
operaia e un periodo di riflusso di tutto il movimento: prima con i
licenziamenti per assenteismo che colpiscono ammalati, invalidi, donne in
maternità, ricoverati in ospedale, poi avviando nel settembre del 1980 la
procedura del licenziamento di 14.469 dipendenti.
Da un giorno all’altro
migliaia di lavoratori diventati “esuberi” furono espulsi dai luoghi di lavoro e
condannati all’emarginazione sociale.
Molti si sentirono traditi da
CGIL-CISL-UIL.
Dopo anni di lavoro e sacrifici in cui la vita dei lavoratori
e dei loro familiari veniva decisa dai tempi e dai ritmi della fabbrica, ora la
nuova situazione cambiava radicalmente il modo di vivere di migliaia di
persone.
Con la perdita del lavoro molti perdevano anche la possibilità
di pagare il mutuo della casa, alcuni subirono la doppia umiliazione di perdere
la casa (ripresa dalle banche a garanzia del mutuo concesso) e il lavoro, non
potendo più neanche mantenere i figli a scuola.
I problemi economici, sommati
a quelli familiari e al fatto di essere fatti passare come “lazzaroni” da
un’intensa campagna della stampa padronale, aggravarono le condizioni di vita di
molti cassintegrati. I lavoratori, costretti a vivere la cassa integrazione e il
licenziamento come problemi individuali o personali, pagarono molto
pesantemente: secondo dati e documenti
raccolti da studiosi borghesi, negli anni ‘80 a Torino si sono suicidati oltre
200 lavoratori Fiat cassintegrati.
Anche di questi delitti dovrà rendere
conto il sistema capitalista.
Volantino 1
61 OPERAI LICENZIATI ALLA FIAT
“Le
contestiamo formalmente il comportamento da Lei sin qui tenuto, consistente
nell’aver fornito una prestazione di lavoro non rispondente ai principi della
diligenza, della correttezza e della buona fede; e nell’avere costantemente
mantenuto comportamenti non consoni ai principi della civile convivenza sul
luogo di lavoro.”
Questo il motivo secondo le stesse parole con cui inizia la
lettera di licenziamento.
Ma qual è il reale motivo che spinge la FIAT a
questo che è l’ultimo e il più grave di una serie di atti repressivi? Gli
scioperi, la protesta operaia fanno perdere produzione e non permettono
l’aumento della produttività! Per la direzione Fiat è necessario elevare la
produttività degli operai per abbassare il costo di produzione delle auto, così
potranno spuntarla con la concorrenza tedesca e americana e avranno la
possibilità di aumentare i loro profitti.
Ma cosa vuol dire, per noi operai
aumento della produttività? Più pezzi, più macchine in minor tempo, più lavoro
gratis per Agnelli allo stesso salario, meno pause, più fatica; in definitiva
Agnelli vuole aumentare il nostro sfruttamento per elevare i suoi profitti. Per
questo in fabbrica deve regnare il massimo ordine e mentre cerca da un lato, di
liquidare tutti gli operai che si ribellano all’aumento dello sfruttamento, allo
stesso tempo cerca di instaurare un clima di intimidazione che convinca gli
altri a stare tranquilli e a subire in silenzio.
Le leggi della concorrenza non ammettono mezze
misure
Cosa hanno da dire ora quei sindacalisti che hanno
sostenuto che la difesa dell’economia nazionale e l’aumento della produttività
erano nell’interesse degli operai? Ora che gli investimenti fatti hanno portato
ad altri licenziamenti di operai (come alla Olivetti)! Ecco dove ha portato
l’impegno del PCI e di Lama ad appoggiare Agnelli nel suo piano per salvare
l’economia nazionale instaurando un clima di austerità (miseria) per gli
operai.
Eppure, compagni, non abbiamo via di scelta. Mentre i padroni
serrano i ranghi insieme ai loro accoliti in Parlamento e nello Stato contro di
noi, noi operai dobbiamo constatare che dobbiamo batterci pur nella nostra
debolezza di organizzazione. Nessuno oggi ci difende, ognuno dei signori che
ieri sembravano appoggiarci a parole, al momento triste ha tirato i remi in
barca e guarda con preoccupazione a noi desideroso di tenerci fermi, pronto a
tacciarci di antinazionali, ignoranza, corporativi.
Nessuno ci dice,
però, che è giusto scendere in lotta subito. Noi lo vediamo sempre più in
maniera pressante, dove è possibile, e vogliamo farlo.
Mentre i prezzi di
tutti le merci salgono incessantemente per garantire ad industriali,
commercianti, gerarchie dello Stato, utili e posizioni elevate, la merce operaio
si vende sul mercato e sul posto di lavoro a prezzo sempre più basso.
Né ci
solleva dalle nostre condizioni la strategia dell’azzoppamento (al più porterà
ad un’indennità di rischio, con aumento di stipendio, per i probabili
azzoppati),
Egualmente bisogna respingere, la posizione di chi sostiene: “La
FIAT provi le sue accuse”, che vuole trasformare lo scontro in un dibattito a
base di cavilli giudiziari in cui la FIAT fa da pubblica accusa, il sindacato da
avvocato difensore e gli operai da imputati e spettatori.
Oggi l’unica
strada e quella della più vasta ed intensa mobilitazione di massa.
Bisogna
avere chiaro che lasciar passare questi licenziamenti significa per noi un passo
avanti verso un maggiore sfruttamento e l’aumento della miseria.
Ottobre
1979 Collettivo Operaio
Fiat
Volantino 2
OPERAI!
Operai,
la crisi non
trova soluzione e può precipitare in qualsiasi momento. I padroni hanno
accumulato una massa di capitali che non possono riprodursi ai saggi di profitto
precedenti. La concorrenza fra capitalisti di diversi paesi spinge rapidamente
ad una nuova guerra.
I sacrifici che ci hanno imposto erano solo una
piccola parte di quelli che ora devono imporci.
Per battere la concorrenza i
padroni devono consumare più produttivamente la nostra pelle: salari di fame,
licenziamenti, intensificazione dei ritmi. Eliminare ogni resistenza in fabbrica
ne è la condizione: ordine e produttività sono le bandiere innalzate in difesa
del profitto.
Agnelli e l’industria di stato indicano la strada: 61
operai licenziati alla Fiat, decine all’Alfa. I primi minavano la “civile
convivenza” in fabbrica, i secondi si ammalavano spesso. Le campagne su
terrorismo e assenteismo servono da copertura alla repressione.
CHI
DIFENDE GLI OPERAI IN QUESTA SITUAZIONE?
Il sindacato e le aristocrazie
di fabbrica che rappresenta hanno assunto in pieno la difesa del capitalismo
italiano: più sacrifici, più produttività per la salvezza dell’economia
nazionale. Di fronte ai licenziamenti chiedono le “prove”, perché sia la
magistratura dei padroni a giudicare. Ma non è difficile trovarle: qualunque
lotta che ponga dei limiti al nostro consumo mina la civile convivenza tra
sfruttati e sfruttatori. Il sindacato difende solo i privilegi acquisiti
svendendo i nostri interessi!
I cosiddetti “partiti operai” che
controllano il sindacato si uniscono con tutto il parlamento su un punto
centrale: garantire ai padroni le condizioni ideali per i loro profitti.
Non
possiamo farci trascinare impreparati nel precipitare della crisi. Il capitale
ci propone maggiore sfruttamento, licenziamenti in massa, sottomissione
all’economia di guerra, inquadramento sotto le bandiere del capitale per sparare
sugli operai di altri paesi.
ORGANIZZARSI
I gruppi operai delle
diverse fabbriche devono collegarsi, valutare la situazione, confrontarsi su un
compito non più rinviabile: darsi una organizzazione politica indipendente per
lottare contro il capitale, emanciparsi dallo sfruttamento, eliminare le
classi.
GLI OPERAI DI TUTTI I PAESI
HANNO GLI STESSI INTERESSI.
Gruppo operaio della Fiat (Mirafiori e
Rivalta)
Gruppo operaio Breda Fucine
Collettivo operaio Falck
Unione
Gruppo operaio Alfa Arese
Operai della Borletti
Operai
dell’Italsider (Genova)
Novembre 1979
Volantino
3
CONFERENZA DEI GRUPPI OPERAI SULLA
FIAT
La FIAT ha rimandato alla fine dell’anno il licenziamento
in massa degli operai “eccedenti”.
Intanto ne mette in cassa integrazione
24.000.
Ora si parla, da una parte, del “grande senso di responsabilità” di
Agnelli, dall’altra di “importante vittoria” dovuta alla forza e compattezza del
sindacato. In realtà, l’ingloriosa caduta del governo a opera della stessa
maggioranza e la demagogica azione del PCI, disposto a soffiare sul fuoco della
ribellione operaia per entrare nei gabinetti ministeriali, hanno consigliato ad
Agnelli di rimandare i provvedimenti a tempi migliori. Senza il PCI non si
governa lo sfruttamento operaio; ma non appena il quadro politico sarà più
stabile e si potrà contare sul costruttivo appoggio di questo partito, i
licenziamenti si riproporranno all’ordine del giorno.
Nessuna illusione
dunque sulle dichiarazioni intransigenti dei nostri sindacalisti. La cassa
integrazione è già l’anticamera dei licenziamenti, dobbiamo utilizzare la lotta
contro di essa, mentre le forze politiche cercano di accordarsi, per valutare
precisamente la situazione, costruire rapidamente organismi operai in ogni
fabbrica in grado di organizzare la difesa e collegarsi con gli operai di altre
fabbriche.
Deve essere chiaro fin d’ora che delegare al collaborazionismo
sindacale la gestione della lotta porterà inevitabilmente alla sconfitta, alla
esecuzione dei licenziamenti.
Cosa
chiede infatti Agnelli? E cosa risponde il sindacato?
Di
fronte alla crisi di sovrapproduzione e alla tendenza dei profitti a non
svilupparsi ai precedenti ritmi, i capitalisti italiani hanno bisogno di
eliminare parte degli operai dei settori stagnanti e sfruttare più intensamente
quelli dei settori che tirano. Devono aumentare la produttività del lavoro per
rendere più competitive le proprie merci e scalzare dal mercato i concorrenti
stranieri.
Il sindacato ha fatto propria la logica del profitto e della
concorrenza capitalistica. Da anni cerca di convincerci che con i sacrifici,
aumentando la competitività dei nostri padroni, sarà possibile uscire dalla
crisi e aumentare l’occupazione. Questo in ogni paese il ruolo che si è assunto
il sindacato: legare i rispettivi operai ai destini dell’economia capitalistica
trascinandoli nella disastrosa guerra dei mercati, incitandoli alla concorrenza
contro gli operai degli altri paesi. Così in tutto il mondo, mentre gli operai
sono costretti a lavorare più intensamente, il mercato è saturo di merci e di
braccia da lavoro.
In cosa si
differenziano dunque le posizioni di Agnelli e del
sindacato?
Oltre ai problemi della produzione i padroni hanno
anche bisogno del sostegno diretto dello stato nella guerra commerciale
internazionale: massicci investimenti per finanziare la ristrutturazione e
alleviare dal rischio i singoli capitalisti, incentivi all’esportazione, dazi e
misure protezionistiche contro le merci “straniere” .
I 15.000
licenziamenti dovevano anche servire come ricatto traumatizzante verso il mondo
politico e l’opinione pubblica per accelerare i tempi dei piani di settore. Per
questo il discorso nudo e crudo dei licenziamenti senza tattiche e
mediazioni.
Il sindacato invece propone la strategia del licenziamento
indolore, scaglionato nel tempo per poter attutire e contenere la protesta
operaia. Esso stesso ha fornito l’articolo contrattuale sulla mobilità cui si
appella Agnelli. “Le aziende hanno diritto di licenziare”, affermava Lama in una
famosa intervista. Ma 15.000 operai sono difficili da controllare dopo che per
anni li si è costretti ai sacrifici in nome dell’occupazione e mentre decine di
altre fabbriche devono liberarsi degli “esuberanti”: prepensionamenti, passaggio
da un posto di lavoro a un altro, blocco delle assunzioni, cassa integrazione a
rotazione, sono semplici palliativi.
Di fatto il precipitare della crisi
capitalistica impone un drastico ridimensionamento delle forze produttive; il
sindacato - accettando la logica del profitto - sa di doverne accettare anche le
leggi di fondo, compresi i licenziamenti in massa.
Perché dunque il sindacato è cosi intransigente sulle
sue proposte?
E’ chiaro che nei settori da ristrutturare,
nella massa degli operai più sfruttati, ci sono anche frange d’aristocrazia
operaia, capi e capetti, quadri politici, tecnici ecc.: questa la base sociale
del sindacato, sono quelli che per anni hanno predicato la salvezza
dell’economia nazionale, dei sacrifici, della produttività, ricevendo in cambio
le briciole dei sovrapprofitti e una adeguata collocazione nel comando di
fabbrica.
Ma i padroni nei momenti difficili non possono essere
riconoscenti con tutti i loro cani da guardia; a tutela di questi si rivolge
principalmente la proposta sindacale. La rotazione della cassa integrazione
serve proprio a scremare via via questi elementi e avere tempo per collocarli in
altri punti del ciclo; il prepensionamento può essere contrattato sulla base
degli alti stipendi percepiti e di cospicue buonuscite; il passaggio da un posto
di lavoro a un altro è possibile. Possono contare sul mestiere, la dimostrata
fedeltà, le conoscenze politiche.
Per essi il mercato del lavoro è sempre
aperto. Per questa si schierano con la proposta sindacale, hanno interesse che
la situazione non precipiti, invitano gli operai alla calma per contrattare
tranquillamente il loro reinserimento. Questo è il principale nemico interno
alla lotta proprio mentre si dichiara: “tutti uniti contro i
licenziamenti”.
Ma per la gran massa degli operai di catena e degli strati
più sfruttati, sia la proposta di Agnelli che quella del sindacato aprono solo
la prospettiva della disoccupazione. La loro difesa non è contemplata da nessun
partito perché nessuna mediazione di interessi è possibile.
La salvezza del
capitale passa attraverso la loro rovina, la loro emancipazione è possibile solo
eliminando lo sfruttamento capitalistico.
Operai, per questo ogni possibilità di difesa oggi
passa attraverso la capacità di organizzarci come classe indipendente, su propri
interessi e con un proprio programma.
Oggi, anche la lotta contro i
licenziamenti può essere coerente solo se è conseguente alla lotta contro il
capitalismo e il suo sistema di sfruttamento.
La
sovrapproduzione capitalistica dimostra che questo modo di produzione si muove
dentro contrasti insanabili, che la proprietà privata dei mezzi di produzione e
di distribuzione mette un limite allo stesso sviluppo della ricchezza sociale.
Si produce solo ciò che fa guadagnare il padrone. I piazzali di Agnelli
traboccano di macchine invendute, mentre noi siamo costretti alla miseria per
aver troppo prodotto.
Organizzarsi, costruire in ogni fabbrica organismi
operai, collegarsi con le altre fabbriche. Questa è oggi l’unica possibilità per
rispondere agli attacchi del capitale e all’operazione di controllo dei
sindacati.
DOMENICA 6 OTTOBRE
presso il centro sociale Leoncavallo a
Milano - Via Leoncavallo (Lambrate)
- riunione dei gruppi operai delle
fabbriche per approfondire questi temi e per portare avanti il processo di
coordinamento dei gruppi di fabbrica.
Gruppi di fabbrica: Breda F. - Falck U. - Borletti -
Ivisc - Innocenti - Alfa A.
Parteciperanno anche alcuni operai
della Mirafiori e di Rivalta
1° ottobre 1980
Assemblea
operaia alla Breda Fucine