sommario
> Capitolo 4. [M. Michelino:1970-1983 - La lotta di classe nelle
grandi fabbriche di Sesto San Giovanni]
IL RAPIMENTO MORO L’ASSASSINIO DI FAUSTO E JAIO GLI
SCIOPERI A DIFESA DELLO STATO
Il 16 marzo 1978, mentre in
Breda Fucine si sta svolgendo un’assemblea, arriva la notizia del rapimento di
Aldo Moro e dell’uccisione dei cinque poliziotti della scorta. Subito il
dibattito, con toni alle caccia alle streghe, viene indirizzato verso i
militanti del Gruppo Operaio, ritenuti probabili “fiancheggiatori” della lotta
armata in fabbrica perché sempre critici verso le scelte del sindacato e del
PCI.
Durante l’assemblea ai lavoratori viene comunicato che i segretari
generali delle tre organizzazioni sindacali Lama-CGIL, Macario-CISL,
Benvenuto-UIL hanno dichiarato lo sciopero generale fino alla
mezzanotte.
Nella stessa giornata il segretario del PCI Berlinguer, insieme
agli onorevoli Natta e Pajetta, si reca nello studio privato di Andreotti
(presidente del consiglio) a Palazzo Chigi, seguito da tutti i capi dei partiti
che compongono il Governo.
Ugo La Malfa del Partito Repubblicano esprime
lo stato d’animo di tutti i borghesi, dichiarandosi per l’immediata adozione di
“leggi eccezionali” e invocando la “pena di morte per i terroristi”.
In
serata i cinque partiti che compongono la maggioranza di governo (Democrazia
Cristiana, Partito Socialista Italiano, Partito Repubblicano, Partito
Socialdemocratico e Partito Liberale) - insieme al Partito Comunista Italiano
che, pur facendo parte della maggioranza, non ha ministri nel Governo - danno la
fiducia nuovamente ad Andreotti facendo nascere il quarto Governo da lui
guidato: il primo nella storia politica italiana ad aver ricevuto la fiducia in
meno di 24 ore.
Milioni di lavoratori vengono chiamati dai partiti, dai
sindacati e da tutte le istituzioni ad “isolare i violenti”. La difesa dello
stato e la solidarietà nazionale vengono presentati in tal modo come interessi
operai.
Il 21 marzo 1978, 5 giorni dopo, il nuovo Governo vara dodici nuove
misure per l’ordine pubblico, tra cui il fermo di polizia, la libertà di
interrogare e perquisire senza mandato. Il ministro degli Interni, il
democristiano Francesco Cossiga, in nome dell’emergenza, in un incontro con i
tre segretari di CGIL, CISL e UIL, concorda con loro le misure da questi
criticate e respinte alcuni mesi prima.
Anche Pietro Ingrao (PCI),
presidente della Camera, in un’intervista al quotidiano L’Unità attacca
duramente lo slogan di Lotta Continua: “né con le Brigate Rosse né con lo Stato”
perché, dice Ingrao: “...se questa operazione dovesse trovare spazio ne
deriverebbero due gravi conseguenze, e cioè che ormai contano solo le bombe e il
popolo sarebbe spinto nella passività, e la polizia si troverebbe sola di fronte
ai killers dell’eversione antidemocratica”.
Differenziarsi dalla
strategia dei gruppi “combattenti” senza cadere nella trappola istituzionale e
criticare nel contempo la scelta opportunista sostenuta da Lotta Continua e
Democrazia Proletaria è la scelta del “Gruppo operaio” Breda, con interventi
critici nelle assemblee e con una serie di volantini in cui spiega la propria
posizione.
Inizia la caccia al
terrorista
Alcuni giorni dopo il rapimento di Moro, intorno
alle 4 del mattino fui svegliato dal suono prolungato del campanello. Ancora
assonnato, guardai la sveglia e mi avviai verso la porta chiedendo chi fosse. La
risposta concitata ed urlata fu: “polizia, aprite subito o spariamo”. Intontito
dal brusco risveglio aprii la porta, per trovarmi davanti la canna di una
mitraglietta impugnata da un carabiniere e, in una frazione di secondo, mi
ritrovai in ginocchio con le mani dietro la nuca. Subito una decina di agenti
dell’antiterrorismo e della Digos, sia in borghese che in divisa - ma tutti
muniti di giubbotto antiproiettile, fecero irruzione nella mia casa. Alcuni si
precipitarono nella stanza da letto, buttando letteralmente per terra mia
moglie, altri andarono in cucina dove dormiva mia figlia di 5 anni, altri ancora
entrarono in bagno.
Dopo quattro ore di perquisizione (in un appartamento
di 35 metri quadri), dopo aver buttato all’aria tutto, smontato tutto lo
smontabile a partire dai cassonetti delle tapparelle, sfogliato i libri pagina
per pagina, messo da parte volantini e scritti poi sequestrati, mi portarono in
strada. Sempre sotto la minaccia delle armi, seguiti dagli sguardi dei vicini
che spiavano da dietro le finestre, perquisirono la mia auto. Solo allora mi
resi conto quanti poliziotti fossero stati impiegati in questa operazione. Una
decina tra poliziotti e carabinieri presidiavano i cinque piani di scale che
portavano al mio appartamento; una decina tra macchine e furgoni della polizia e
dei carabinieri erano parcheggiati fuori da casa mia. Fu questa la prima delle
cinque perquisizioni che mi fecero in quegli anni.
Era cominciata la
caccia alle streghe.
Alcuni giorni dopo il sequestro Moro, il 18 marzo,
Fausto Tinelli e Lorenzo Jannucci (Jaio), due giovani frequentatori del centro
sociale Leoncavallo, vengono assassinati pochi minuti prima delle 21 a colpi di
calibro 38. In meno di un’ora alcune migliaia di persone si radunano nel luogo
del duplice omicidio accusando i fascisti.
Il Gruppo operaio prende
subito posizione ed al funerale dei compagni assassinati partecipa una folta
delegazione di operai della Breda e delle altre fabbriche milanesi.
Nel
frattempo gli scioperi a difesa dello “Stato democratico nato dalla Resistenza”
si allargano alla difesa di tutte le “istruzioni democratiche”, compresi i
poliziotti.
L’Italia diventa uno Stato
di polizia
Nella sua relazione di minoranza alla “commissione
Moro” presentata il 22 giugno del 1982, lo scrittore Leonardo Sciascia, deputato
radicale, annota lo “sforzo” di polizia nei 55 giorni del sequestro Moro
definendolo con l’aggettivo “imponente”: 72.460 posti di blocco, di cui 6.296
nella cintura urbana di Roma; 37.702 perquisizioni domiciliari di cui 6.933 a
Roma; 6.413.713 persone controllate (oltre il 10% della popolazione italiana
considerando vecchi e bambini) di cui 167.409 a Roma; 3.383.123 automezzi
controllati di cui 96.572 a Roma.
La campagna affinché i bracci armati
dello stato entrino a fare parte del sindacato insieme agli operai, perché anche
loro sono “lavoratori”, si intensifica. In nome della lotta contro il
“terrorismo”, la borghesia ed suoi agenti del sindacato e del PCI cercano di
cancellare il concetto stesso di capitale e di sfruttamento operaio che sono
alla base della società e su cui si fondano le sue istituzioni. Ripristinare le
giuste categorie, riportare con i piedi per terra i concetti che sono alla base
della società capitalista non è facile.
La campagna propagandata dai
mass-media cerca di far apparire lo sfruttamento come legittimo, la società
borghese come la più pacifica, “il migliore dei mondi possibili”, mentre
l’attentato alla “democrazia” è denunciato come proveniente da isolati gruppi
armati.
In nome del risanamento delle industrie e “della difesa del posto
di lavoro”, spacciando come obiettivi operai la produttività, la competitività,
il mercato e il profitto, il PCI ed il sindacato si fanno paladini del
capitalismo italiano nel mondo.
L’obiettivo centrale delle confederazioni
sindacali resta la difesa dei profitti, nascosta dietro la “difesa dei
disoccupati” - a cui le rivendicazioni degli occupati dovrebbero subordinarsi.
Intanto nelle fabbriche si chiedono gli straordinari.
Ma che rapporto c’è tra produttività e mercato, tra
sfruttamento operaio e guerra?
Certe affermazioni che anni fa
sembravano azzardate hanno oggi un puntuale riscontro nei drammatici avvenimenti
internazionali. Il nazionalismo delle confederazioni sindacali viene denunciato
non tanto a livello ideologico quanto in rapporto alle esigenze di sfruttamento
degli operai. Nel frattempo monta la campagna sul “terrorista in fabbrica” con
l’obiettivo di criminalizzare ogni lotta e ogni lavoratore che sfugge al
controllo del PCI e del sindacato.
Intanto Guido Carli, a nome della
Confindustria, dichiara la disponibilità degli industriali a creare 100.000
posti di lavoro in cambio dei sacrifici, trovando subito il plauso di Luciano
Lama.
Volantino 1
SULLO
SCIOPERO PER I LAVORATORI DEL MANGANELLO
COMPAGNI,
OPERAI
Le Confederazioni sindacali, controllate dai partiti di governo, ci
chiamano a lottare per far entrare i poliziotti nel sindacato. Secondo il PCI
questi lavoratori “meritano un trattamento adeguato alle loro funzione.
Miglioramento delle condizioni economiche (più soldi) e di lavoro (meno orario);
potenziamento e maggiore efficienza del corpo (nuove assunzioni e qualificazione
“professionale”)”.
Mentre in fabbrica continuano a chiederci sacrifici
per uscire dalla crisi, dall’altra parte vengono ridotte le tasse agli
azionisti, si aumentano (160.000 lire al mese*) gli stipendi ai deputati, si
accontentano i poliziotti per renderli ancora più ligi al regime e poterli
impiegare meglio contro chi non vuole, e non può, più fare nuovi
sacrifici.
MA CONTRO CHI DOVREMO LOTTARE?
Tutti i partiti
“democratici” sono d’accordo nella sostanza e la lotta si gioca solo per chi
avrà il controllo dei bracci armati dello stato borghese.
La DC li vuole nel
sindacato autonomo per mantenere gli attuali rapporti di forza, il PCI li vuole
dentro le confederazioni, come neoassunto nel potere borghese, per legittimare
la sua collocazione. Gli stessi rivoluzionari della domenica facenti capo a
Democrazia Proletaria applaudono all’iniziativa, convinti di potersi insinuare
tra le pieghe della democrazia borghese nella speranza di allargarle e di
raccogliere qualche briciola reggendo le mutande al PCI. Nei loro sogni credono
che la polizia è fascista perché pagata male e che con un trattamento migliore,
e qualche discorso politico, diverrà democratica.
MA LA POLIZIA E’ UNO
STRUMENTO DEL CAPITALE PER REPRIMERE GLI OPERAI E IMPEDIRNE LE LOTTE
Si
può chiedere che gli sbirri della proprietà privata stiano dalla parte degli
operai? Scioperare per i poliziotti, diffondere l’idea che sono “lavoratori
sfruttati” ecc., equivale ad incoraggiare l’arruolamento di quei giovani senza
prospettive, che possono scegliere di lottare contro questo sistema che nega
anche il lavoro e che quando lo concede è solo per poterci sfruttare, oppure
mettersi al servizio del capitale e sparare contro gli sfruttati e i
disoccupati. Denunciare il ruolo della polizia, lottare contro le sue azioni
antioperaie e antipopolari, è l’unica possibilità per indebolirne le file, per
scoraggiare l’adesione di quanti siano indotti a
farsi strumento di
repressione del capitale.
Compagni, operai,
non paghiamo con ore di
sciopero i fucili che domani si rivolgeranno contro di noi in fabbrica, o contro
i nostri alleati di classe!
RIFIUTIAMO IN MASSA QUESTO
SCIOPERO!
Febbraio, 1978
Gruppo
Operaio Breda Fucine
(*) Il salario medio annuo di un operaio
in questi anni è di 4 milioni di lire.
Volantino 2
DUE GIOVANI COMPAGNI UCCISI DAI
FASCISTI
OPERAI,
L’assassinio di due giovani compagni di
Milano è la ritorsione fascista al rapimento Moro e all’uccisione della sua
scorta.
Tutti i partiti dell’arco parlamentare, dalla DC al PCI, sino a
Democrazia Proletaria, si sono prontamente mobilitati accomunando compagni e
poliziotti nella campagna contro il terrorismo per la difesa della democrazia
borghese, per il rafforzamento dello stato.
Chi era convinto di poter
criticare lo stato perché “combatte solo la violenza di sinistra” è ora
disorientato di fronte ai complessi meccanismi della democrazia borghese.
“Le
BR che sparano sui poliziotti, i fascisti che sparano sui compagni, i
‘benpensanti’ come La Malfa che invocano la pena di morte”: in questa situazione
lo stato borghese ha l’occasione di dimostrare imparzialità e autorità
garantendo con l’uso moderato della forza le condizioni ideali per il
funzionamento del capitale.
La democrazia borghese è la forma politica più
congeniale per sottomettere e sfruttare in pace gli operai facendogli credere di
essere liberi.
NESSUNA VIOLENZA E’
AMMESSA, SE NON QUELLA LEGALIZZATA E COSTITUZIONALE
DELLO SFRUTTAMENTO DEL
CAPITALE SUL LAVORO SALARIATO.
Ogni anno 4.000 operai, solo in
Italia, vengono uccisi in incidenti sul lavoro, altre migliaia restano storpiati
per tutta la vita, i vecchi mandati al macero con miserabili pensioni, ogni
giorno peggiorano le condizioni di vita e di lavoro mentre aumenta la ricchezza
che solo noi produciamo e i capitalisti accumulano.
Lo stato borghese ha
tutto l’interesse a mantenere questa democrazia e l’abbandona solo quando gli
operai in massa rivendicano i loro interessi, mettendo così in discussione i
profitti del capitale.
Oggi in particolare i capitalisti hanno da essere
soddisfatti, nonostante il tiro a segno delle BR: grazie a PCI e sindacati si è
resa possibile “pacificamente” la riduzione dei salari, la mobilità garantita,
l’intensificazione dello sfruttamento operaio, il controllo dei disoccupati.
Oggi soprattutto non c’è bisogno di forze oscure alla guida del paese, ma di far
funzionare bene questa democrazia.
Chi servono dunque le BR, e chi le
manovra? La CIA, il KGB, il SID o le famigerate forze oscure? Noi non crediamo
alle “convergenze oggettive”. In realtà le BR servono soltanto se stesse e il
proprio sogno di essere il partito della classe operaia.
Per noi si pone il problema: chi utilizza l’attuale
situazione politica e ne trae vantaggio.
Nella crisi i
capitalisti italiani hanno bisogno della coalizione delle forze per presentarsi
compatti nella concorrenza sul mercato mondiale. Urge un quadro politico
compatto in grado di sostenere il pesante programma antioperaio necessario alla
ripresa della competitività.
Il nazionalismo e la lotta al terrorismo
sono diventate le bandiere che unificano tutti i partiti. In nome dell’emergenza
si accelera l’abbraccio DC-PCI e il compromesso storico si allarga fino a DP-LC
e MLS*, ansiosi di dimostrarsi difensori della democrazia borghese. Nel suo nome
si varano quelle leggi speciali che presto gli operai dovranno sperimentare.
Intanto Pecchioli (PCI) e padronato colgono l’occasione per eliminare come
provocatori quegli operai che in fabbrica si oppongono alla politica dei
sacrifici e della riduzione dei salari.
Lama afferma che le BR hanno la
loro base in fabbrica e inviata i suoi leccapiedi alla delazione.
Noi non
imputiamo alle BR di servire per questo i disegni reazionari del PCI e della
direzione.
Le campagne forcaiole non hanno difficoltà a trovare pretesti. A
questo proposito precisiamo ulteriormente la nostra posizione, anche se nota a
tutti gli operai.
Riteniamo le BR incapaci di criticare il capitalismo da un
punto di vista marxista e di classe, incapaci di condurre lo scontro a livello
politico e teorico col revisionismo, impotenti rispetto alla democrazia borghese
e i suoi strumenti di consenso.
Sia rispetto alla crisi che all’analisi
internazionale fanno proprie le più ridicole teorizzazioni borghesi.
Proprio
mentre gli operai vengono colpiti da tutti i lati, mentre non si riesce ad
organizzare la difesa delle stesse condizioni di vita, in assenza di un partito
di classe, sono convinti di essere in piena rivoluzione e credono, con l’esempio
della lotta armata, di trascinare gli operai.
Vedono nella DC il puntello del
sistema senza capire il ruolo del PCI e il suo controllo sulla classe.
I
tentativi di accomunarci alle BR, come anche in assemblea è stato tentato, altro
non sono che i tentativi di intimidire ed eliminare quegli operai che
apertamente nelle assemblee e nei reparti dichiarano la propria opposizione alla
riduzione dei salari, che lottano per gli interessi immediati e storici della
classe operaia.
ONORE AI COMPAGNI
ASSASSINATI!
NESSUN APPOGGIO AL RAFFORZAMENTO DELLO STATO
BORGHESE!
Aprile 1978
Gruppo Operaio Breda Fucine
* DP -
Democrazia Proletaria
LC - Lotta Continua
MLS - Movimento lavoratori per i
socialismo (ex Movimento Studentesco)
Volantino 3
STRAORDINARI ALL’ALFA E CACCIA AL
TERRORISTA
I sindacati, in nome degli operai, contrattano e
accettano l’intensificazione del lavoro all’Alfa. L’obiettivo è il “recupero
della produttività per risanare l’industria pubblica e potenziarne la
competitività sul mercato”. Dirigenti d’azienda e dirigenti sindacali
raggiungono una storica intesa: bisogna far lavorare di più gli operai.
La
cura per risanare l’industria pubblica consiste, dunque, nell’aumentare il
numero di automobili per addetto, cioè aumentare la produzione a parità di
operai. Perché questo avvenga, il sindacato chiede una contropartita: la
direzione dell’Alfa si deve “riformare”, con l’immissione di suoi rappresentanti
all’interno.
Questo è ciò che Benvenuto (UIL) chiama “controllo operaio”,
ovvero controllare la produttività operaia. Uscire dalla crisi vuol dire
risanare le imprese, risanare le imprese vuol dire ristabilire i profitti: agli
operai, con i loro sacrifici, “l’onere” di questo compito. A sentire i dirigenti
sindacali, nell’industria di stato non solo non si fanno profitti, ma ci pagano
di più di quanto rendiamo; i bilanci parlano chiaro: 140 miliardi di
debiti.
- Ma gli stipendi pagati ai dirigenti e i dividendi agli azionisti
non sono forse percentuali sui profitti realizzati tramite il nostro
sfruttamento?
- Si può essere tutti lavoratori, anche se i dirigenti
intascano 60-70 milioni all’anno e gli operai arrivano a malapena a 4-5
milioni?
Ovunque si parla di risanare le imprese vuol dire che si
vogliono risanare i profitti. Cosa ci guadagnano gli operai? Forse la sicurezza
del lavoro? Verranno scongiurate le crisi future?
CHE CONSEGUENZA AVRA’
LO STRAORDINARIO E L’AUMENTO DELLA PRODUTTIVITA’?
Aumenterà lo
sfruttamento, ci consumeremo prima sul lavoro, mentre una parte di operai verrà
lasciata disoccupata. Queste sono due facce della crisi prodotta dallo
sfruttamento capitalistico: da una parte gli operai, sempre più schiacciati per
produrre al massimo delle loro possibilità e permettere la ripresa dei profitti,
dall’altra una massa di braccia che non trovano “padroni” (la disoccupazione è
aumentata proprio in questi ultimi anni). Dove sono i sindacalisti, che con i
sacrifici degli operai occupati promettevano la fine della disoccupazione?
I
sacrifici, invece di favorire i disoccupati, ne favoriscono l’aumento: più
lavoro per gli operai dell’Alfa - più braccia inattive, più disoccupati - più
ricatti per gli occupati. Il sindacato, controllato dai partiti di governo,
gestisce questo ricatto perché ha tutto l’interesse a difendere i profitti e di
profitti il capitale vive.
DALLA CONCORRENZA PER AUMENTARE I PROFITTI
ALLA GUERRA
Tutto ciò serve a vincere la competitività e a far uscire
dalla crisi i padroni italiani. Tentano di legare i nostri interessi alle merci
che produciamo e alla necessità che vengano vendute: questa è la strada più
pericolosa a cui vogliono costringerci.
OPERAI! I padroni italiani ci
chiedono di produrre merci con una parte maggiore di lavoro non pagato; devono
vincere la concorrenza, vendere e realizzare i loro profitti. Questa è la
richiesta di tutti i padroni del mondo agli operai del loro paese. Senza mettere
in discussione i profitti, la concorrenza fra padroni diventa concorrenza fra
operai, al posto dell’unita di classe subentra la lotta fra gli operai stessi.
Così, quando la concorrenza fra capitalisti sfocia necessariamente nella guerra,
gli operai si troveranno addosso una divisa per sparare su altri operai, per
conquistare mercati ai propri capitalisti. I dirigenti sindacali di ogni paese,
facendosi portavoce della necessità di vincere la concorrenza (l’Alfa ne è un
esempio ) non fanno altro che operare per la divisione del proletariato mondiale
e per la sua sottomissione ai padroni di ogni paese. In Italia, il gruppo
dirigente sindacale gestisce l’aumento dello sfruttamento, la difesa del
profitto e la difesa dei propri padroni sul mercato mondiale.
La capacità
di controllo e ricatto sugli operai viene usata come forza contrattuale per la
scalata a nuovi posti di potere economico e politico.
Così Benvenuto chiama
“controllo operaio” il controllo che il sindacato vuole ottenere sui bilanci
dell’industria di stato, in cambio della pelle degli operai.
Ma controllare i
bilanci vuol dire diventare dirigenti d’azienda a 60 milioni l’anno, vuol dire
fare scelte antioperaie per il risanamento dell’industria.
Abbiamo
sperimentato il nostro aumento di potere, con l’ingresso del PCI al
governo!
. Avanza il socialismo e gli operai devono lavorare di più.
.
Avanza il “controllo operaio” e gli utili degli azionisti aumentano.
. Avanza
la democrazia e gli operai che non sono d’accordo a lavorare di più per i
padroni possono finire in galera come sovversivi.
INFATTI PERCHE’ CERCANO
I TERRORISTI NELLE FABBRICHE?
Perché il PCI e i sindacalisti fanno ripetuti
appelli alla delazione, tentando di creare una rete di spie nei reparti? Il
terrorismo è accomunato alla sovversione e siccome la più pericolosa sovversione
è la lotta contro i padroni, si finisce sempre per arrestare gli operai che
lottano per i propri interessi di classe.
Questa è la dichiarazione dei
borghesi e del loro stato: i sovversivi si riproducono incessantemente in
fabbrica e lì vanno colpiti. Questa è la dichiarazione che il pericolo per il
sistema capitalistico sorge nelle fabbriche stesse, dallo sfruttamento stesso
degli operai.
Il PCI e i sindacati sanno bene che la loro scalata al
potere dipende dal loro controllo sugli operai; per questo mobilitano la loro
base sociale (operai dello strato superiore, apprendisti capi e sottocapi )
perché facciano con zelo il loro dovere di cani da guardia. In cambio faranno
carriera nel comando di fabbrica e nella gestione dello stato borghese. Per
questo, è proprio il PCI il più accanito contro ogni lotta che si muova contro i
padroni, per gli interessi di classe, e tenta con ogni mezzo di far fuori dalle
fabbriche gli operai che emergono nella lotta. Tutto è giustificato da un
semplice discorso: si definisce lo stato borghese “democratico”, quindi chi
lotta contro i padroni nella fabbrica e contro il loro sistema statale non può
che essere reazionario.
Compagni operai, questo discorso va capovolto: lo
stato che reprime chi lotta contro lo sfruttamento, che legittima la
sottomissione degli sfruttati agli sfruttatori, qualunque forma politica si dia,
è uno strumento del capitale contro il lavoro salariato. Gli operai in lotta per
la loro emancipazione se lo trovano necessariamente contro.
Al di sopra
di ogni illusione sulla democrazia borghese, la realtà ci impone la sua legge:
mentre a Cosenza la polizia dello “stato democratico” carica gli operai tessili
in lotta per il posto di lavoro, il parlamento decide aumenti per i poliziotti
(da 50 a 100 mila lire più la casa), il tutto in nome dello stato nato dalla
resistenza.
COMPAGNI OPERAI!
PCI E SINDACATO SI IMPEGNANO A RISANARE
LO STATO E I PROFITTI DEI PADRONI:
ORGANIZZIAMOCI PER LA LOTTA SUI NOSTRI
INTERESSI DI CLASSE, CONTRO
L’INTENSIFICAZIONE DELLO
SFRUTTAMENTO.
Coordinamento degli
operai di Sesto della Breda Fucine,
Siderurgica, Termomeccanica , Falck U.
Magneti Marelli.
2/5/1978
(Il PCI era nella maggioranza di
governo pur non avendo ministeri.)
Volantino 4
GRAZIE CARLI
In nome della
Confindustria G. Carli annuncia la disponibilità degli industriali a investire
capitali per “100 mila posti di lavoro”: cosa chiedono in cambio?
1. Aumento
della produzione del 4,5% (= aumento dello sfruttamento operaio in cifre)
2.
Tetto salariale con aumenti che non superino il 12% tra scala mobile e aumenti
contrattuali (= blocco del salario ma non del costo della vita)
3.
Rastrellamento di altri 10 mila miliardi attraverso nuove tasse e aumenti delle
tariffe, con cui finanziare i padroni.
4. Proroga della fiscalizzazione degli
oneri sociali (= lo stato che paga per i padroni con i nostri soldi)
NON
CI VIENE CHIESTO DI DARE “ALTRO” NON PER MORALITA’ MA SOLO PERCHE’ NON
PRODUTTIVO. MA CI SONO (CI SARANNO) 100 MILA POSTI? PERCHE’ TANTA
GENEROSITA’?
Carli è un borghese intelligente e parla a nome dell’ala
illuminata dell’imperialismo italiano. Senza fronzoli dichiara che i padroni
investono solo a certi tassi di profitto, e cioè aumentando lo sfruttamento
operaio. I disoccupati vengono contrapposti agli occupati come costante
ricatto.
A LAMA E BERLINGUER, ORA IL COMPITO DI SINDACALIZZARE QUESTI
CRUDI ARGOMENTI:
“SIAMO DISPOSTI A NUOVI SACRIFICI (PER GLI OPERAI) PER
RISOLVERE
L’OCCUPAZIONE (100 MILA POSTI PER 2 MILIONI DI DISOCCUPATI)
PURCHE’
CAMBI IL QUADRO POLITICO (CIOE’ IL PCI AL GOVERNO).
CARLI E’
CHIARO: L’IMMISERIMENTO DELLA CLASSE OPERAIA E’ LA CONDIZIONE
NECESSARIA PER
RENDERE PIU’ COMPETITIVO L’IMPERIALISMO ITALIANO NELLA
LOTTA PER LA CONQUISTA
DEI MERCATI ESTERI.
Ma cosa succede se accettiamo le condizioni di
Carli?
L’attuale crisi è crisi di sovrapproduzione. I capitali non si
valorizzano più ai livelli necessari. Montagne di merci, di capitali, di
forza-lavoro “eccedente” ingombrano il mercato e non possono essere utilizzate.
Noi che produciamo siamo esclusi da qualsiasi ricchezza, mentre il capitale
ciclicamente viene distrutto, svalorizzato, per permettere una nuova
accumulazione. E qual è la scoperta di Carli?
“Ridurre il consumo interno
per favorire le esportazioni e smaltire così l’eccedenza di merci battendo la
concorrenza straniera sul mercato mondiale”.
Ma la crisi investe tutti i
paesi capitalisti, e tutti sono costretti a fare questa geniale scoperta.
Il
mercato mondiale non è che la somma dei mercati nazionali in concorrenza tra di
loro, ne risulta una contrazione generale dei consumi e la sovrapproduzione
diventa mondiale.
Dove si ficcherà Carli il suo 4,5% in più di
produzione?
Ovunque la massa della produzione viene rallentata. E mentre
migliaia di operai vengono licenziati, agli occupati viene imposto maggiore
sfruttamento per aumentare la competitività delle merci.
E’ questo il vicolo
cieco in cui ciclicamente si inceppa il capitale.
Esso non può essere
sbloccato se non con una nuova ripartizione forzosa dei mercati, con la guerra
imperialista oggi localizzata solo in alcune aree di scontro ma che si annuncia
sempre più prossima come nuova guerra mondiale.
In questa prospettiva
certo possono esserci anche più di 100mila posti, ma per produrre
armi.
COMPAGNI!
L’IMPERIALISMO ITALIANO CI CHIAMA A NUOVI SACRIFICI,
NON CERTO PER I DISOCCUPATI
MA PER DIFENDERE I SUOI INTERESSI DI ESPANSIONE
NEL MONDO,
METTENDOCI IN CONCORRENZA CON GLI OPERAI DEGLI ALTRI PAESI, COME
NOI SFRUTTATI.
ACCETTARE, CON I SACRIFICI, DI DIFENDERE L’IMPERIALISMO
ITALIANO VUOL DIRE
DOMANI SERVIRE I PADRONI CON UNA DIVISA.
GLI OPERAI IN
TUTTI I PAESI DEVONO DIFENDERE I LORO INTERESSI DI CLASSE
CONTRO GLI
INTERESSI DEI RISPETTIVI PADRONI.
Gruppo Operaio Breda Fucine
Ottobre ‘
78
Volantino 5
DOPO
CARLI..... LAMA
Abbiamo già risposto alle proposte di Carli
sul “mangiare di meno, lavorare di più” per pensare ai disoccupati, ora Lama ci
fa la cortesia di precisare il tema.
Dice Lama: “Se vogliamo essere coerenti
con l’obiettivo di far diminuire la disoccupazione è chiaro che il miglioramento
delle condizioni degli operai occupati deve passare in seconda linea. La
politica salariale dovrà essere molto contenuta. Le aziende hanno diritto di
licenziare la manodopera esuberante”.
In parole povere per diminuire la
disoccupazione dobbiamo far passare i licenziamenti e accettare salari da fame.
Molti si sono scandalizzati di tanta sincerità, ma Lama non ha fatto altro che
popolarizzare il documento approvato dalle 3 confederazioni che verrà “proposto”
venerdì in assemblea.
1. Scaglionamento degli aumenti contrattuali sui tre
anni
2. Modifica della scala mobile
3. Limitazione della cassa
integrazione ad un anno
4. “Diritto” dei padroni a licenziare gli operai
“eccedenti”.
Con la ferrea logica dell’azionista, Lama intende così
raddrizzare i profitti della “barca Italia” con la solita promessa che con
l’aumento dei profitti i padroni potranno impiantare la famosa fabbrica per
impiegare i 2 milioni di disoccupati; e si lamenta che i livelli salariali sono
troppo elevati e perché il nostro “orario di lavoro effettivo è uno dei più
bassi tra i paesi industriali”. Ma anche Lama, da buon economista borghese è
anche un nazionalista fottuto. Non dice certo che la crisi è di sovrapproduzione
e investe tutti i paesi capitalisti e non è certo causata dai nostri “elevati
salari”, ma, al contrario, da una eccedenza di capitali e merci da cui noi
produttori siamo esclusi. Non dice che in tutti i paesi i padroni stanno
peggiorando le condizioni dei propri operai. Non chiama gli operai italiani a
solidarizzare con gli operai degli altri paesi. Tutt’altro!
Lama ci
chiama a sacrifici “sostanziali” per sostenere l’imperialismo italiano nella
concorrenza contro altri paesi.
Gruppo
Operaio Breda Fucine
Novembre ‘78
Volantino
6
Defenestrato il Consiglio di Fabbrica
dell’Alfa Sud
In 4.500, in maggioranza operai delle catene di
montaggio, con cartelli di protesta, fischi, slogan, hanno interrotto e quindi
espulso dalla fabbrica i “rappresentanti dei lavoratori”. “Non ci bastano i
soldi - Noi delle catene che produciamo tutto non siamo rappresentati”. Queste
le parole d’ordine della protesta.
Il sindacato, i benpensanti,
l’opinione democratica, gridano allo scandalo. Solo una settimana prima 3.500
operai avevano protestato “slealmente” con tre giorni di “mutua” allo sciopero
contro il terrorismo. I borghesi sono rimasti sconvolti. Ora nelle fabbriche del
nord cercano di convincerci, a scanso di “generalizzazione”, che gli operai
dell’Alfa Sud sono dei qualunquisti, senza coscienza di classe, invischiati
nella logica clientelare.
“Non solo - dicono - sono insensibili ai
richiami di difesa dello stato: chiedono addirittura aumenti salariali mentre
bisogna sacrificarsi per l’economia in crisi. Calano la produzione mentre c’è da
essere competitivi con la concorrenza straniera”.
In particolare il
sindacato li accusa di voler accettare la “manovra padronale”: cottimi e
incentivi per riportare la produzione ai massimi livelli.
Ma è troppo comodo
scaricare sugli operai le proprie responsabilità dopo aver imposto la politica
dei sacrifici, impedito un’efficace lotta per reali aumenti salariali, costretto
gli operai a subire tutti i ricatti padronali.
E quale sarebbe poi
l’alternativa sindacale? Realizzare ugualmente l’aumento di produzione
padronale, ma in cambio di “equilibri politici più avanzati” (più potere ai
burocrati sindacali nello stato)?!.
Sono dunque arretrati gli operai in lotta dell’Alfa
Sud?
Dovrebbero schierarsi con lo stato e le istituzioni
quando il “virus dei sacrifici” uccide in un mese più di quanto non abbia fatto
il terrorismo in dieci anni?
Dovrebbero scioperare per funzionari e
poliziotti quando non è concessa neppure una protesta per i propri bambini
uccisi?
Dovrebbero accettare una linea sindacale che premia la
“professionalità” e il “merito” quando le catene servono solo a succhiare
razionalmente e interamente la loro forza-lavoro fisica?
Quale
professionalità, quale merito per chi è stato ridotto ad un’appendice della
macchina, espropriato anche del mestiere?
Aumentare i profitti in nome
dell’occupazione quando a Napoli i disoccupati vengono caricati dalla
polizia?
Se poi si vuol parlare di clientelismo parliamo dell’aristocrazia
operaia del nord, della sua scalata nel comando di fabbrica e negli organismi di
sottogoverno.
Altro che operai arretrati!
L’Alfa Sud è la fabbrica
automobilistica più moderna d’Europa. Inchiodati alle catene dai più avanzati
sistemi di sfruttamento, contrapposti al capitale per una condizione sociale
complessiva che gli è storicamente imposta, questi operai rappresentano di fatto
la frazione più avanzata del proletariato.
Solidarietà degli operai del nord con gli operai in
lotta dell’Alfa Sud.
Gruppo Operaio Breda Fucine
Febbraio
1979