Nahshon, il battaglione dei cecchini

Reportage sull'addestramento dell'esercito israeliano a una guerra di bassa intensità. Un reparto "esperto" nella guerra urbana.
Storpiare, non uccidere: questa la parola d'ordine di Israele per continuare a colpire i palestinesi, soprattutto agli occhi e alle gambe, senza provocare pesanti reazioni

ARIE O'SULLIVAN - GERUSALEMME

Il Manifesto, 14 Novembre 2000

"Ho sparato a due persone.. alle ginocchia. Bisogna spezzare loro le ossa e neutralizzali ma non ucciderli" dice il sergente Raz, un tiratore scelto del battaglione Nahshon. "Come mi sentivo?" ... Bene, in effetti mi sono sentito molto soddisfatto", ci confida il soldato ventenne. "Ho sentito che potevo fare ciò che mi avevano addestrato a fare, mi ha dato molta sicurezza pensare che se entriamo in una reale situazione di guerra sarò capace di difendere i miei compagni e me stesso".
Una pratica comune consiste nello sparare un proiettile metallico rivestito di gomma direttamente nell'occhio - un piccolo gioco dei soldati più addestrati che richiede massima precisione. Notizie di ferite agli occhi continuano ad arrivare quotidianamente.
"L'11 ottobre l'ospedale diagnostico di El Mizan a Hebron riportava che stava curando 11 palestinesi con ferite agli occhi inclusi tre bambini. Dei pazienti, 9 avevano perso un occhio. L'ospedale oftalmologico di El Nasir a Gaza ha trattato 16 persone per ferite agli ochi tra cui 13 bambini. Nove hanno perso un occhio" (Law, rapporto del 19 ottobre 2000). "Dal 29 settembre al 25 ottobre 2000 l'ospedale oculistico St. John di Gerusalemme ha curato 50 pazienti per ferite agli occhi (Law, 2 novembre "... Ferite agli occhi").
Contrariamente ai comunicati che parlano genericamente di "scontri", le vittime non sono soltanto dimostranti. Ecco una storia, scoperta da Law.
Maha Awad, una donna di 36 anni vive con la famiglia ad Al Bireh (vicino Ramallah) in un appartamento di fronte all'insediamento ebraico di Psagot. "La notte di mercoledì 4 ottobre 2000 era in casa.. Ricorda che 'verso le 21 circa abbiamo sentito una sparatoria nel quartiere; gli spari erano intensi e a casaccio. Non sapevamo ciò che stava succedendo ma avevamo molta paura. Chiusi la mia stanza ed andai verso il balcone per chiudere la porta. A quel punto venni colpita all'occhio destro da un proiettile che era entrato attraverso la porta a vetri del balcone'. Maha non è stata tuttavia la solo persona della famiglia a essere seriamente ferita, quella notte. Dopo averla portata all'ospedale, suo fratello di 54 anni, in visita dagli Stati Uniti, ritornò a casa per prendere alcuni indumenti per Maha. Quando andò a vedere il punto ove Maha era stata colpita venne a sua volta colpito allo stomaco da un proiettile".
E' difficile evitare la sensazione che si tratti di una specie di partita di caccia condotta a sangue freddo da tiratori scelti ben addestrati ed equipaggiati con armi ad alta precisione. Le pallottole vaganti non colpiscono tanta gente con precisione agli occhi, alla testa e alle ginocchia.
L'esercito israeliano si era ben preparato per questi avvenimenti: "poco più di un anno fa proprio per far fronte alla rivolta nella Cisgiordania ... l'esercito israeliano ha addestrato quattro battaglioni alla guerra di bassa intensità e il Nahshon è quello che si specializza nella guerra urbana. Le sue truppe si esercitano in villaggi palestinesi riprodotti in due basi militari" (Jerusalem Post, Arieh O'Sullivan, 27 ottobre 2000).
Unità dell'esercito appositamente addestrate, quindi mirano, sparano e colpiscono il bersaglio in maniera calcolata: storpiare mantenendo basse le statistiche dei morti. E' quanto riportato apertamente (e con orgoglio) dai media israeliani. L'articolo del Jerusalem Post spiega anche che "la strategia globale dell'esercito consiste nel privare i palestinesi del massiccio numero di caduti, cui, secondo l'esercito, i palestinesi aspirano al fine di ottenere l'appoggio del mondo e per consolidare la loro battaglia per l'indipendenza. 'Facciamo di tutto per non ucciderli...' dice il colonnello Yoram Loredo, comandante e fondatore del battaglione Nahshon".
La ragione è sufficientemente chiara. Un alto numero di morti palestinesi ogni giorno non può passare inosservato nemmeno presso i media e i governi occidentali più ben disposti. In proposito Barak è stato esplicito. "Il primo ministro ha detto che se a questo punto ci fossero stati non 140 ma 400 o 1000 morti tra i palestinesi, questo ... avrebbe forse fortemente danneggiato Israele" (Jerusalem Post, 30 ottobre 2000). Con una media stabile di 5 morti al giorno credono che Israele possa continuare 'indenne' ancora per molti mesi.
In un mondo così abituato agli orrori molti pensano che 180 morti in un mese è una cosa triste e sconvolgente ma non un'atrocità di fronte alla quale il mondo si debba unire per fermarla.
I feriti vengono appena menzionati "non contano" nelle asciutte statistiche della tragedia. Chi presterà attenzione al loro destino di feriti? Chi si fermerà a pensare quanti di loro moriranno lentamente a causa delle ferite, o rimarrano handicappati, ciechi, o mutilati a vita? Oppure chi penserà alle loro possibilità di sopravvivere all'assedio ed alla fame inflitti al loro popolo?
Mai Israele aveva osato rispondere quotidianamente a dimostranti che lanciano pietre con un impiego tanto massiccio di forza e brutalità. Nei sei anni dell'Intifada precedente (1987-1993) vi furono in totale 18.000 feriti palestinesi. Ora in un mese siamo già a 7.000. Stiamo assistendo a una nuova fase. Israele ha iniziato una distruzione sistematica e precedentemente pianificata della infrastruttura, delle città e della vita palestinese.
L'esercito israeliano ha provocato e allargato l'escalation con l'uso delle armi da fuoco attraverso la sua massicia offensiva contro i dimostranti arrabbiati. Per quanto riguarda le circostanze delle sparatorie (spesso senza alcun pretesto di rispondere a spari), quartieri civili e residenziali vengono bombardati quasi ogni notte da elicotteri e da carri armati usando missili, mitragliatrici e "armi di precisione" mentre l'esercito invita i residenti ad evacuare "per la loro stessa protezione". Ai coloni viene data mano libera di attaccare, di sparare alle persone, di distruggere proprietà. A Hebron è stato lanciato un attacco israeliano particolarmente massiccio che appare come un tentativo di allargare i quartieri ebraici.
Complessivamente vi è un'enorme pressione sui residenti di molte zone confinanti con gli insediamenti israeliani perché abbandonino questi luoghi permettendo così di accrescere il terreno già accaparrato da Israele. In realtà l'appropriazione dei terreni avviene ogni giorno pezzettino per pezzettino (vedi Katriel, Indymedia/Israel, 30 ottobre 2000). Informazioni disperate su tutto ciò e molto di più continuano ad arrivare ogni giorno dai palestinesi. A noi la scelta di decidere se vogliamo sapere o meno.

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