Le dodici ordinarie bugie di Barak
Dagli insediamenti concessi ai coloni, al fallimento di Camp David, dalla
trattativa infinita sul ritiro dai Territori occupati alle responsabilità per
l'odio, fino al cosiddetto disprezzo arabo per la vita dei bambini palestinesi.
Ecco il "dodecalogo" delle menzogne israeliane
URI AVNERY *
Il Manifesto, 7 Ottobre 2000
Le affermazioni del governo israeliano
sulla sanguinosa crisi in corso e quelle della stampa legata al governo e alla
destra sono incredibili. Le abbiamo volute prendere, una ad una, come spunto per
raccontare le vere responsabilità della precipitazione degli eventi.
1. "Barak ha rivoltato ogni sasso per raggiungere la pace"
La
verità è che ha rivoltato ogni sasso per costruire nuovi insediamenti. Fin dal
suo primo giorno come premier ha accelerato il ritmo della costruzione di nuovi
insediamenti (con la scusa di "allargare" quelli esistenti), confiscando
terre, demolendo abitazioni palestinesi e costruendo nuove by-pass road
(il cui scopo principale è quello di annettere nuove terre palestinesi ai "gruppi
di insediamenti" che intende annettere ad Israele). In questo tipo di attività,
Barak ha fatto più di Netanyahu.
Anche in campo politico Barak ha superato
Netanyahu: almeno Bibi (Netanyahu, ndt) ha restituito ai palestinesi gran
parte della città di Hebron. Barak non ha restituito un solo centimetro di territorio
occupato.
2. "A Camp David Barak è andato oltre qualsiasi altro
primo ministro d'Israele"
Anche se questo fosse vero, significherebbe
ben poco. Se un maratoneta (Netanyahu) casca dopo un chilometro, e un altro (Barak)
casca dopo tre chilometri, la differenza tra i due non è molto importante. Ciò
che conta è che nessuno dei due si è nemmeno avvicinato alla linea del traguardo
(che dista 26 chilometri).
Le proposte che Barak ha fatto a Camp David erano
molto lontane da quel minimo necessario per fare la pace con il popolo palestinese
e con l'intero mondo arabo: la sovranità palestinese su Gerusalemme Est e specialmente
la spianata delle moschee sacre (Haram al-Sharif).
Barak ha dichiarato a Camp
David che avrebbe potuto "considerare" alcuni aspetti "estetici"
(e quindi in effetti ha infranto alcuni dei tabù israeliani a proposito di Gerusalemme),
ma in effetti ha negato una sovranità palestinese, araba e musulmana sulla spianata
delle sacre moschee e sui principali quartieri arabi della città.
Ecco perché
il summit (di Camp David ndt) è fallito ed è cominciata l'escalation che
ha portato all' "Al-Aqsa Intifada".
3. "Arafat ha fatto
fallire il vertice di Camp David"
Alla vigilia della sua partenza
per il vertice, Barak annunciò cinque "Red Lines", che in nessuna circostanza
avrebbe oltrepassato.
Tra queste: la sovranità di Israele su tutta la città
di Gerusalemme, nessun ritorno ai confini precedenti la guerra del 1967, mantenimento
dell'80% delle colonie, nessun ritorno in Israele per alcun rifugiato!! In seguito
ha smorzato qualche punto, ma non abbastanza per giungere nemmeno vicino ad un
accordo.
4. "Ogni volta noi diamo, diamo, diamo, Arafat non da
nulla"
Quando i palestinesi hanno accettato un accordo di pace basato
sui confini precedenti alla guerra del 1967, stavano già concedendo in anticipo
un 78% della terra tra il mare Mediterraneo e il Giordano. Sono pronti a stabilire
il loro stato nel rimanente 22%. Il nostro governo vuole un "compromesso"
su quell'area. Questo significa: "Ciò che è mio è mio, su ciò che è tuo dobbiamo
fare un compromesso".
(Le premesse di fatto: il 29 novembre del 1947
il piano di ripartizione delle Nazioni Unite attribuiva allo stato ebraico il
55% della Palestina, agli Arabi il 45%. Nella guerra che ne seguì - iniziata dagli
arabi - abbiamo conquistato metà del territorio spettante agli arabi. Ecco come
si è determinata la "Linea Verde", lasciando nelle nostre mani il 78%
del paese.)
Il problema non si può esprimere solo in percentuali. Barak sembra
chiedere solo il 10% dei territori occupati. In realtà quel che chiede è vicino
al 30%, tenendo conto dei territori che vuole annettere nell'area di Gerusalemme
e delle aree sotto "controllo di sicurezza" nella valle del Giordano.
Ma, ancor peggio, nella mappa del territorio proposta ai palestinesi, quelle percentuali
dividono il loro paese da Est a Ovest, da nord a Sud, in maniera tale che lo Stato
palestinese consisterebbe in un gruppo di isole, ciascuna circondata da colonie
e soldati.
5. "Come si può far la pace con i Palestinesi quando
questi non rispettano nessun accordo?"
Bene, le violazioni degli
accordi da parte palestinese impallidiscono di fronte alle nostre. Prima della
fine del periodo provvisorio nel maggio del 1998, l'IDF (Israeli Defence Forces,
ndt) avrebbe dovuto ritirarsi da tutta la Cisgiordania e dalla Striscia
di Gaza eccetto da "alcune speciali postazioni", dalle colonie e da
Gerusalemme. Barak sino ad ora si è rifiutato di farlo. Inoltre, fin da molto
tempo si sarebbero dovuti aprire quattro "passaggi di sicurezza" tra
la Cisgiordania e la Striscia di Gaza. In pratica è stato aperto un solo "passaggio
di sicurezza", che può solo essere usato dai palestinesi con molte difficoltà.
6. "Barak è l'erede di Rabin"
La cosa è molto lontana
dal vero. In pochi mesi Barak è riuscito a distruggere i risultati ottenuti non
solo da Rabin, ma anche quelli di Begin. Ha sepolto il trattato di Oslo (al quale
si opponeva fin dal principio) e ha rovinato le relazioni costruite da Israele
con così tanta difficoltà con un certo numero di nazioni arabe. Ha creato fermento
tra gli stessi cittadini arabi di Israele. Sotto molti aspetti ci ha portato indietro
al 1948, anzi al 1936.
7. "Il linciaggio di Ramallah dimostra
che gli Arabi sono animali"
In un conflitto come questo le due parti
si accusano a vicenda delle atrocità commesse, "dimenticando" le atrocità
commesse dalla propria parte. Israele denuncia l'orribile linciaggio, i palestinesi
denunciano l'omicidio del dodicenne Mohammed al-Dira tra le braccia del padre
e le pallottole omicide sparate dai tiratori dell'esercito israeliano alla testa
dei bambini palestinesi armati di sole pietre. La nostra violenza è una risposta
alla violenza palestinese, la loro è una risposta alla nostra. E' un circolo vizioso.
8. "I media palestinesi sono uno strumento di incitamento"
E' vero, ma sotto questo aspetto purtroppo non c'è molta differenza tra i
loro e i nostri. I nostri media e i loro parlano lo stesso linguaggio, seguendo
delle indicazioni che provengono dall'alto. Quando la Tv palestinese mostra ripetutamente
le immagini del bambino che muore tra la braccia del padre, questo è incitamento.
Quando le nostre televisioni mostrano dozzine di volte al giorno, giorno dopo
giorno, il linciaggio di Ramallah, questo è incitamento.
9. "Loro
ci sparano contro e l'esercito israeliano si sta contenendo"
E' strano
che in due settimane di "contenimento" siano stati uccisi 110 palestinesi
e 3 soldati israeliani. Nessun portavoce israeliano ha spiegato (né è stato interrogato)
su questa strana proporzione.
(Certamente la spiegazione è che da molto tempo
l'esercito israeliano ha addestrato i suoi tiratori a scegliere una persona tra
i dimostranti, prendere esattamente la mira con il mirino telescopico e colpirlo
con speciali pallottole mortali ad alta velocità. Invece di "pacificare"
l'area, come si intendeva, questo metodo l'ha infiammata ancor di più. Ogni funerale
ha portato a nuovi scontri).
10. "Gli arabi mandano i loro bambini
contro le nostre postazioni militari, in modo che possano essere uccisi e così
finire su tutti giornali del mondo"
Questa è un'accusa orrenda, che
tradisce un razzismo offensivo. Implica la convinzione che i genitori arabi non
si diano pena per i loro figli che muoiono.
Nella lotta ingaggiata prima del
1948 dalle nostre organizzazioni segrete e durante la nostra guerra di Indipendenza
del 1948, i ragazzi e le ragazze giocarono un ruolo importante. L'addestramento
militare dei ragazzi palestinesi non è differente dall'addestramento dei nostri
battaglioni di giovani Gadna (battaglione militare israeliano composto da giovani
durante la guerra del 1948, ndt). Il ragazzo che nel 1948 distrusse un
carro armato siriano presso il Kibbutz Deganya è diventato un eroe nazionale.
Quando un popolo combatte per la propria esistenza e libertà, i suoi ragazzi non
possono fare a meno di prendere parte alla lotta. (Per parte mia, io mi sono arruolato
nell'Irgun, che gli inglesi definivano come un'organizzazione terroristica, all'età
di 14 anni e mezzo. All'età di 15 anni ero armato).
E' un'illusione pensare
che i genitori palestinesi possano impedire ai loro bambini di uscire per le strade
e tirare pietre, quando essi vivono sotto una crudele occupazione e i loro fratelli
e sorelle danno esempi di eroismo e sacrificio. E' abbastanza naturale che i palestinesi
siano orgogliosi di loro. Giovanna d'Arco, tra l'altro, aveva 16 anni quando guidava
le armate francesi.
I coloni israeliani non esitano a sfruttare i loro bambini
mettendoli in situazioni pericolose.
11. "Ancora una volta viene
provato che tutto il mondo è contro di noi. Sono tutti anti-semiti"
L'opinione
pubblica mondiale è sempre stata dalla parte dell'oppresso. In questo conflitto
noi siamo Golia e loro, i palestinesi, sono Davide.
Agli occhi del mondo i
palestinesi stanno combattendo una guerra di liberazione contro una potenza straniera
occupante. Noi siamo nel loro territorio, non loro nel nostro. Noi ci siamo stabiliti
sulla loro terra, non loro nella nostra. Noi siamo gli occupanti, loro sono le
vittime. Questa è una situazione oggettiva che nessun ministro della propaganda
(come Mr. Nachman Shai - direttore generale della Televisione e Radio israeliana,
ndt) può mutare.
12. "Non abbiamo un partner per fare
la pace"
E' vero, non abbiamo un partner per una pace che i
palestinesi vedono come una capitolazione agli ultimatum israeliani. Abbiamo invece
un partner per una pace che sia basata sull'uguaglianza e il mutuo rispetto.
La soluzione è abbastanza chiara: lo stato palestinese deve essere stabilito entro
i confini precedenti la guerra del 1967, con Gerusalemme come capitale per due
stati - Gerusalemme Est con la spianata Haram al-Sharif deve appartenere alla
Palestina, Gerusalemme Ovest con il muro del Pianto e il quartiere ebraico deve
appartenere ad Israele.
Quando il principio di questa soluzione sarà accettato,
le negoziazioni rispetto agli altri problemi potranno partire: reciproca sicurezza,
scambio di territori, una soluzione morale e pratica del problema dei profughi,
ridistribuzione delle risorse idriche, etc.
Questa pace si realizzerà perché
l'unica alternativa sarebbe la catastrofe per ambedue le parti.
*
Leader del gruppo pacifista israeliano "Gush Shalom"